CIVITAVECCHIA – Un saluto ai lavoratori dell’Alcoa che questa mattina sono sbarcati a Civitavecchia.
I vecchi civitavecchiesi amavano definire il popolo sardo nostro “cugino”, per l’affinità tra gente di mare e per la naturale frequentazione del tratto più breve che unisce l’isola alla terraferma, fonte nel tempo di intrecci di cultura, di occasioni di sviluppo, di comune sentire.
Una “parentela” che è divenuta sempre più alla lontana, tra le trasformazioni di un porto che lo hanno reso estraneo alla città ed una città che, dal canto suo, ha progressivamente cancellato le sue radici di terra di lotte operaie e di difesa della democrazia.
Ricordiamo l’aggressione subita dai pastori sardi nel 2010, proprio all’interno del porto per l’occasione militarizzato, che suscitò l’indignazione dell’intero paese: molto meno indignata apparve Civitavecchia, che se la fece scivolare addosso nella pressoché generale indifferenza.
Da questa mattina una nuova stagione di solidarietà può tornare ad aprirsi, per i lavoratori dell’Alcoa e, con loro, per i minatori del Sulcis, ancora una volta protagonisti di una coraggiosa e dignitosa battaglia per la difesa di un diritto essenziale: il lavoro.
La disperata lotta dei minatori rappresenta infatti il simbolo di un paese a cui si sta negando il futuro, di un governo affetto da burocratico cinismo, concentrato su una rincorsa Monti – Merkel per il posto di primo della classe, in un’Europa del tutto estranea al destino dei popoli.
Non una proposta, non un’idea di sviluppo, là dove la politica industriale del ministro Passera si esaurisce nel sostegno all’indifendibile dirigenza dell’Ilva, o le politiche del lavoro nell’assunto della professoressa Fornero che “il lavoro non è un diritto”: in perfetta continuità con la politica economica di chi li ha preceduti.
Altro che risanamento e ripresa, dal Sulcis a Taranto, da Pomigliano all’Emilia, a Genova, Roma, al mitico nordest, è l’intero paese ad essere travolto da una crisi la cui portata si mostra ogni giorno di più nella sua drammatica e generale evidenza, cancellando ogni sacca di protezione.
E’ con questa condizione che, come forze politiche della sinistra, dobbiamo fare i conti, per tornare a porci quale riferimento di un mondo del lavoro frantumato e privato dei diritti essenziali, in un territorio mortificato e devastato dalla speculazione di quegli stessi che la crisi l’hanno prodotta ed ora la buttano sulle spalle dei lavoratori.
Solidarietà, ma non solo.
La sfida vera è quella di cominciare ad offrire concreti e coerenti segnali di costruzione di un nuovo modello di sviluppo che, attraverso la valorizzazione di risorse umane e naturali, sappia restituire la fiducia in un futuro in cui il parametro di riferimento sia rappresentato dalla qualità della vita: per tutti, non più per i soliti pochi.
Una sfida che si traduca in un impegno di partecipazione, di cui la battaglia dei minatori sia appunto il simbolo, perché la loro battaglia è la nostra battaglia.
Io sto con i minatori.
Lucia Bartolini