La Città degli dei

messico teotihuacanSi è conclusa domenica 27 febbraio la mostra: “Mexico Teotihuacan”, visitabile dal 9 novembre scorso a Roma al Palazzo delle esposizioni in Via Nazionale. Considerato imperdibile da appassionati e studiosi, è stato il primo progetto espositivo interamente dedicato alla civiltà precolombiana di Teotihuacan (II sec. A.C. – VII sec. d.C.). Organizzata dall’instituto Nacional de Antropología e Historia (INAH), sono stati esposti tesori provenienti principalmente dal museo Nazionale di Antropologia della Città del Messico, dai due musei di Teotihuacan e reperti provenienti dal museo Anahuacalli, nato dalla collezione privata del celebre artista messicano Diego Rivera. Per la prima volta questa civiltà è stata presentata al grande pubblico, riscuotendo un grandissimo successo, e appassionando alla storia, all’arte e alla cultura di questa misteriosa e affascinante civiltà, migliaia di visitatori. In esposizione oltre 400 reperti, fra cui sculture monumentali, rilievi in onice e pitture murali che riproducevano credenze religiose, animali e racconti mitici, statuette in ossidiana nera, verde e rossa, vasi di terracotta intarsiata, bracieri con richiami antropomorfi e zoomorfi, mitologici e rituali, armi, giochi e divinità. La Città degli Dei era il centro più prestigioso del Centro America, prima ancora degli Aztechi, era conosciuta da tutti i popoli che abitavano quel territorio e il suo nome e il rispetto per esso si estese a tutte le culture che occupavano l’attuale Messico e parte dell’America centrale. Con i suoi 150.000 abitanti, la città di Teotihuacan raggiunse il culmine del suo splendore nel periodo compreso tra il 150 e il 550 d.C. eccellendo in ogni arte, finchè un grosso incendio, alcune lotte interne e le invasioni esterne non ne decretarono la definitiva uscita dalla scena, consacrandola però al ricordo e all’ammirazione della storia. Nata dall’unione di alcuni villaggi agricoli nel I sec. a.C., Teotihuacan crebbe con una pianta a scacchiera che testimonia un piano urbanistico estremamente coerente, il cui asse era costituito da una grande strada processionale chiamata: “Viale dei Morti”, che univa i due edifici più importanti: la Piramide del Sole e la Piramide della Luna. Furono gli Aztechi, quando ormai la città era in declino, a chiamarla Teotihuacan ed a collocare nel suo scenario il mito della creazione del mondo attuale, trasformandola per sempre nella “Città degli Dei”, nel “Luogo dove gli Uomini divengono Dei”, legandoli al mito del Quinto Sole, ovvero un racconto azteco precoloniale che descrive lo stato dell’universo dopo la distruzione della Quarta Era, quella del Sole d’Acqua, preceduto dal Sole della Pioggia di Fuoco, dal Sole del Vento e dal Sole della Terra. La mostra, molto ben concepita, era strutturata in 7 gallerie tematiche dedicate all’architettura e all’urbanistica, alla politica, economia e guerra, al sacrificio, alla religione, alle divinità e ai rituali, alla vita quotidiana, allo splendore del loro artigianato e alle loro relazioni estere con il resto del mondo mesoamericano. Oltre ai reperti e alle spiegazioni, in ogni stanza era presente un pannello su cui erano proiettate immagini, collegate al relativo effetto audio, che fungevano da ambientazione e sottolineavano la particolarità di una sala rispetto alle altre. Nella stanza del sacrificio vi era un suggestivo cerchio sul pavimento, nel centro della galleria, in cui gocciolava del sangue rosso scuro, e in tutta la sala risuonava il rumore del sinistro gocciolio, proprio per sottolineare e meglio contestualizzare l’idea della morte offerta agli dei, così come gli aghi per l’autodissanguamento, i coltelli sacrificali in ossidiana nera e le statuette che rappresentavano guerrieri ricoperti di fori di frecce, che offrivano la loro vita alle divinità in cambio del bene della comunità. Oltre alla mostra, sono stati realizzati interessanti laboratori con le scolaresche e organizzati incontri settimanali con i massimi esperti internazionali provenienti dal Messico e i nostri maggiori archeologi e antropologi studiosi di culture indigene americane, come Alejandro Sarabia Gonzàlez, Saburo Sugiyama, Davide Domenici, Miguel Bàez, Sergio Botta, Laura Laurencich Mielli, Alessandro Lupo, Alessandra Pecci, Alfredo Lòpez Austin, Giovanni Gentile G. Marchetti, Linda Manzanilla e Rubèn Cabrera. Un eccellente evento culturale da ripetere.