“Monarchia sottovalutata nei festeggiamenti dell’Unità d’Italia”

vittorio emanuele IICIVITAVECCHIA – Con l’affermazione resa in televisione, col solito piglio severo e pensoso – “Un popolo che non fa una seria analisi del proprio passato non riuscirà ad avere un futuro” – il compianto Indro Montanelli è sembrato quasi censurare un certo modo di celebrare l’unità d’Italia che sembra fare i conti con la storia più secondo la convenienza politica che secondo il profondo significato che a quell’evento imputano gli italiani. Che ne hanno, come minimo, una conoscenza scolastica desunta dai libri di testo, redatti, peraltro, in applicazione dei programmi didattici varati in età repubblicana.
Ora, per quel che ricordiamo di aver studiato, già nel 1848 Carlo Alberto di Savoia, per bilanciare la possibile formazione di una confederazione di stati sotto l’egida del papa, dichiarò guerra all’Austria, potenza egemone del quadrante italiano insediata nel Lombardo-Veneto. Il maggior onere di quella che doveva essere un’impresa collettiva cadde, come risaputo, sull’esercito piemontese, che ne uscì sconfitto. Ne venne una ventata di restaurazione che investì tutta la Penisola. Ma il Regno di Sardegna fu saldo nel mantenere lo statuto, consolidò il parlamentarismo, sviluppò l’economia. Accolse i patrioti perseguitati, si pose come un faro che ispirava fiducia nella  riscossa che sarebbe seguita dieci anni dopo. Intanto gli italiani inneggiavano a Vittorio Emanuele re d’Italia, Costantino Nigra e la contessa di Castiglione propugnavano la causa dell’indipendenza italiana presso Napoleone III. E naturalmente Mazzini continuava con le sue sfortunate insurrezioni, Garibaldi, portata a termine l’impresa dei Mille, consegnava generosamente il meridione nelle mani dei Savoia. Così si arrivava all’unità politica in forma monarchica – mediata dall’azione diplomatica di Cavour – che comportava la rinuncia sofferta e dolorosa alle istanze più radicali, mazziniane, federaliste. Unità completata nel 1870 con la liberazione di Roma (e di Civitavecchia).
Questo c’è stato insegnato. Ed è innegabile che in 150 anni di unità politica della nazione 85 sono stati segnati dall’azione della Monarchia e 65 da quella della Repubblica, costituita solo nel secondo dopoguerra.  Eppure, in questi giorni, un velo di oblio è stato gettato  sul ruolo – come si vede primario – avuto dalla monarchia in questo processo di formazione dell’unità. Come se Carlo Alberto, Vittorio Emanuele II, Umberto I, Vittorio Emanuele III e Umberto II non fossero mai esistiti. C’è stato un autentico colpo di spugna sulle modalità di formazione dell’unità.
Tutt’altra musica laddove l’Italia è “più vecchia”, e dove più alto è stato il prezzo pagato per l’unificazione. Ad esempio a Torino, città che ha dato un particolare risalto a questo avvenimento con l’esposizione del tricolore su tutti gli edifici e il varo di innumerevoli iniziative.
Le malelingue forse negheranno che quanto dichiariamo stia avvenendo, e ci accuseranno di essere dei guastafeste e addirittura di aver svoltato politicamente verso la monarchia. Pazienza, ma questa crediamo sia la verità storica. E non vorremmo che ciò che è stato costruito  sotto la monarchia fosse vanificato da una repubblica che anziché privilegiare l’unità, la solidarietà e la coesione ingenera spinte centrifughe.

Il Consiglio Direttivo del Polo Civico