CIVITAVECCHIA – L’introduzione del green pass obbligatorio per accedere nei posti di lavoro sta purtroppo producendo una polarizzazione del confronto, che scadendo spesso in una disputa tra SiVax e NoVax impedisce di ragionare sull’impatto di questo provvedimento. Il governo Draghi nell’introdurre il green pass obbligatorio non ne ha nascosto le vere finalità: non tutelare la sicurezza e la salute pubblica, quanto piuttosto spingere tutti a vaccinarsi per garantire la produzione di beni e servizi. Una posizione che spiega anche perché il Governo sia contrario alla gratuità dei tamponi. Le aziende dal canto loro sostengono che il rischio di contagio è un problema esclusivamente sociale, per cui, se non se l’assume lo Stato, il costo del tampone deve essere posto a carico dei lavoratori non vaccinati”. Così in una nota l’USB Civitavecchia, che interviene sulla spinosa questione dell’obbligo Green pass imposto dal Governo nei posti di lavoro.
“A ben vedere, tuttavia – prosegue la nota dell’USB – questa visione interessata del problema non si sposa con le previsioni normative in tema di salute e sicurezza nei posti di lavoro. Per queste, infatti, il rischio di contagio da Covid 19 è un rischio per i lavoratori che deve essere valutato dal Datore di Lavoro, il quale, sempre per legge, deve farsi carico di tutte le misure di prevenzione e protezione necessarie per ridurlo o azzerarlo. Non si vede allora perché tra queste misure non debbano rientrare anche i tamponi, che servendo a verificare l’eventuale positività di un lavoratore asintomatico prima dell’ingresso al lavoro possono sicuramente ridurre il rischio di contagio da Sars-cov-2. In questa prospettiva, in mancanza di un sostegno statale, i tamponi dovrebbero essere quindi pagati dalle aziende. Governo e Confindustria però su questo fanno muro, contando sul fatto che i lavoratori non vaccinati sono oggi una minoranza. Ma in futuro le cose potrebbero cambiare. Il green pass per i vaccinati vale un anno, scaduto il quale non è detto che tutti si sottopongano alla terza dose, né che questa sia effettivamente disponibile considerando i miliardi di persone a cui tuttora il vaccino è colpevolmente negato. Allora il problema green pass assumerebbe ben altro rilievo”.
“In ogni caso – conclude il sindacato di base – vi sono altri buoni motivi che dovrebbero consigliare maggiore elasticità circa il problema del costo dei tamponi: intanto perché il numero dei lavoratori non vaccinati è ancora rilevante (al 25 settembre, 3,7 milioni solo nel settore privato), ma poi anche per i problemi logistici che potrebbero determinarsi nei grandi poli produttivi, per il probabile aumento delle assenze dal lavoro, e, inoltre per le difficoltà di alcune aziende a sostituire il personale che dovrebbe essere posto in aspettativa. Come USB riteniamo il vaccino uno strumento certamente utile al contrasto della pandemia, che però, in mancanza di obbligatorietà, deve essere promosso con argomentazioni medico/scientifiche e non con forzature come quella del green pass. Naturalmente criticare il green pass in questo momento è sicuramente impopolare e, fatalmente, si rischia di essere fraintesi. Ma dal punto di vista sindacale il punto rimane quello di ridurre i rischi di contagio senza intaccare il diritto al lavoro, perseguendo una sintesi che non può essere quella di imporre ai non vaccinati una nuova tassa di almeno 45€ a settimana solo per poter lavorare!”.