CIVITAVECCHIA – Non ci entusiasma partecipare a polemiche o discussioni, né provocarle. Da troppo tempo ormai l’espressione di ogni pensiero diventa motivo di attacchi personali, volgarità ed insulti ed è per questo che cerchiamo di evitarlo.
Tuttavia crediamo che ci siano opinioni che vanno espresse, assumendo anche qualche rischio.
Siamo convinti che Civitavecchia da alcuni anni stia perdendo le sue caratteristiche identitarie e che questa sia una delle principali ragioni del suo profondo degrado.
Non si ama la città, non ci si sente partecipi di una comunità. Di conseguenza non si rispettano i suoi luoghi, le persone, le istituzioni.
Contrastare questo processo dovrebbe essere il principale compito di chi governa, operando su più fronti, tra cui innanzitutto, il fronte della cultura.
C’è da chiedersi se i segnali che emergono vadano in questa direzione o se al contrario assecondino i processi disgregativi.
E’ di tutta evidenza che tocchi alla cultura esprimere e rappresentare la coesione sociale, la civiltà della comunità ed è dalla cultura che provengono e crescono i fattori identitari. Cultura in senso lato, certo, ma anche le politiche culturali che si sviluppano sul territorio.
E questo ci sembra un vulnus della attuale gestione della cosa pubblica.
Ci troviamo infatti difronte a scelte in antitesi alle aspettative di chi vorrebbe una città diversa, capace di crescere, di valorizzare le sue intelligenze e professionalità, di elevare il livello complessivo. Ci sembra che stiano venendo progressivamente meno i più elementari principi su cui costruire un organico progetto culturale e una accettabile dimensione comunitaria.
Se pensiamo alle iniziative estive, la sensazione di vivere in una realtà marginale, priva di stimoli e sollecitazioni si amplifica. La stagione estiva è stata tra le più grigie da moltissimi anni. Malgrado gli sforzi di chi si è prodigato per colmare i vuoti della Amministrazione, la quantità di risorse finanziarie messe a disposizione è stata tale da non consentire una proposta di livello accettabile. Mentre in tutte le città italiane, comprese le nostre vicine (si pensi a Tolfa, Allumiere, Ladispoli, ecc.) abbiamo visto importanti iniziative, apprezzate anche dai nostri concittadini che vi sono affluiti in massa, da noi abbiamo vissuto la più sconfortante delle stagioni estive.
Il Teatro Traiano è stato da sempre l’agorà della città, il riferimento principale per lo sviluppo culturale e sociale e da sempre è stato gestito e organizzato con un radicamento forte nella città e nelle sue istituzioni.
Ora, per la prima volta, il cartellone, e non solo, è stato affidato alle cure di un ente terzo, l’ATCL, che ha sempre collaborato senza mai però sostituire la direzione locale.
Non è questione di scarso peso: perché si tratta di fatto di una gestione esterna alla città, estranea ai suoi bisogni.
Inoltre si è lasciata tutta la macchina operativa del teatro in balia di se stessa, avendo come riferimento la struttura comunale mentre il teatro ha sempre avuto, ed ha bisogno di avere, una sua struttura, un riferimento costante per chi al teatro guarda per i suoi bisogni culturali e per lo stesso pubblico.
Il Traiano ha sempre avuto la caratteristica di non essere soltanto un contenitore di spettacoli scelti più o meno casualmente ed assemblati in un cartellone, ma una organizzazione capace di dare input importanti a tutta la città ed è anche per questo che svolge una funzione così rilevante e che è così alto il numero degli abbonati. Associazioni locali e non soltanto, scuole, enti, cittadini portatori di proposte, appassionati, scuole di danza, si sono sempre rivolti al Traiano, al loro teatro, senza passare per le strettoie della burocrazia comunale o dell’amministratore di turno. La sua autonomia ha garantito a tutti, senza distinzione, l’ascolto e l’accesso a pari condizioni e questo è stato il volano principale dei suoi successi negli anni.
Anche la Cittadella della Musica è stata privata della sua direzione autonoma e la conseguenza è stata la sua scomparsa dall’arena culturale della città. Non ha una sua programmazione, non c’è attività alcuna ad eccezione di qualche occasionale iniziativa, non si comprende il ruolo che svolge e che svolgerà nel futuro.
Eppure la musica nella nostra città è una attività di straordinaria importanza che vede impegnati moltissimi giovani e non soltanto, anche ad alti livelli.
Sempre in campo musicale, la struttura di via Bramante, che da decenni ha una sua attività costante e che ha formato decine di musicisti, non ha certezze per il futuro. La sede è stata messa in vendita, ignorando che centinaia di giovani trovano lì non soltanto un luogo di cultura, ma anche uno sbocco professionale qualificato.
Non comprendiamo dove e come sia maturata la convinzione che per fare cultura sia sufficiente assemblare spettacoli indipendentemente dalla qualità e dalla coerenza della proposta, che ci si possa affidare all’improvvisazione al di fuori di un progetto organico, costruito con il concorso delle migliori energie che la città è capace di esprimere.
Ci sembra invece necessario sottolineare come sia essenziale pensare, elaborare, servirsi di competenze, governare i processi, rendere comunicanti e comunicativi gli spazi, mettere in rete le esperienze e i luoghi della cultura, renderli permeabili e sostenerli.
Abbandonarli a se stessi o appaltarli a realtà esterne alla città è il più grave degli errori.
I nostri amministratori mettano a dirigere le strutture culturali chi vogliono, si servano di loro adepti qualificati, se ne hanno, dato che soltanto i loro sostenitori possono utilizzare gli spazi pubblici ed ottenere il patrocinio del comune, ma organizzino la proposta culturale e diano ad essa una linea di coerenza che esca dalla superficialità e dalla gestione burocratica.
Abbiamo nella città una straordinaria ricchezza: tanti nostri concittadini impegnati nelle più diverse discipline, spesso a livelli di eccellenza. Valorizziamoli, diamo ad essi il controllo e la gestione delle attività, destiniamo loro gli spazi, senza paure e senza discriminazioni di sorta. Facciamo di questa nostra città un luogo in cui la cultura viva e si sviluppi, investendo sui luoghi e sulle persone.
Una visione miope, incapace di sperimentare e di progettare, timorosa di tutto ciò che è estraneo e che sfugge al controllo amministrativo è la negazione della cultura e non farà altro che comprimere ulteriormente le potenzialità esistenti e far ancora di più crescere il degrado e l’abbandono.
Fabrizio Barbaranelli
Nicola Porro
Gino Saladini