CIVITAVECCHIA – Una società che si ritiene matura non può limitarsi a diffondere solo i principi della conoscenza, del sapere, dell’educazione alla libertà d’azione, tralasciando il contesto ambientale con cui gli uomini di ogni razza, lingua, religione, ceto sociale, età sono chiamati ad interagire, la realtà calabrese, caratterizzata da una incombente presenza della criminalità, che li pone in una condizione di evidente svantaggio rispetto alle prospettive del loro futuro. Del resto, non esiste cultura fuori della società e delle dinamiche interattive, che caratterizzano l’acquisizione e la trasmissione di conoscenze, di valori, la formazione di idee, di attitudini e di competenze.
Non esiste cultura fuori della storia, se per cultura si intende quel complesso di manifestazioni della vita, materiale, sociale e spirituale, di un popolo in un dato momento storico. Manifestazioni che comprendono la conoscenza, le credenze religiose, l’arte, la morale, la legge, le tradizioni, i costumi e ogni altra abitudine e capacità acquisita dall’uomo, come membro della società. Capacità non solo di apprendere, ma anche di trasmettere conoscenza alle generazioni successive, attraverso il linguaggio, il pensiero ed altri strumenti. Al maestro preferisco il testimone. E’ un tempo questo in cui molti sono più sensibili nel recepire tutto ciò che promana da scelte esistenziali forti, da esempi di vita. Il maestro sale in cattedra addita una via, un ideale da seguire; il testimone vive questo ideale sulla propria pelle, lo fa suo senza paura di mettersi sempre in gioco, di rischiare il tutto per tutto. Ecco perché i migliori maestri, coloro che riescono ad infondere la “cultura”, sono anche dei testimoni che con il loro esempio mostrano di condividere e praticare le idee, gli ideali, i valori che propugnano. La sfida di oggi è la sedimentazione culturale di quei principi che la mentalità criminale intende cancellare. È delle nuove generazioni e di chi ha radicati valori e sani principi morali la voglia di cambiare il mondo, di combattere le ingiustizie, di reagire alle prepotenze ed ai soprusi, di contrastare le illegalità, ma in talune realtà del mondo, del nostro paese purtroppo, la violenza, la frequenza dei reati, la presenza della criminalità organizzata, ancora oggi, rimane una componente strutturale di vaste aree, dove taluni cittadini sono costretti a vivere in condizioni di sudditanza, di intimidazione e di omertà, dove traumatico è il contatto con l’ambiente, con la loro realtà di miseria, di disoccupazione, di carcere, di dolore e di morte, ove spesso unica maestra di vita, soprattutto per chi si è trovato a dover crescere troppo in fretta, è la strada e non la famiglia o la scuola, la società civile. Da qui il pericolo del disimpegno morale, di frequenti comportamenti antisociali, di mancanza di senso civico, accompagnato dalla diffusa tentazione di “farsi gli affari propri,” in un quadro di totale sfiducia nelle Forze dell’Ordine, nei familiari e negli insegnanti, con il solo coinvolgimento del contesto amicale al precipuo fine di ottenere consigli, aiuti o complicità. È venuto il tempo di una nuova alleanza, una nuova solidarietà, fatta di coerenti messaggi educativi tra chi produce formazione, cultura e chi produce legalità, con programmi alternativi e costruttivi, tendenti ad incanalare il sano desiderio di protagonismo individuale nell’ambito universitario in partecipazione ad iniziative, incontri, confronti, in spazi che facciano sentire i ragazzi soggetti e non oggetti emarginati di questa società, che spesso li confina nell’isolamento ed in una prevenuta ostilità generazionale. Si tratta allora di lavorare su due piani, entrambi importanti e fortemente integrati fra loro. Anzitutto sul piano della cultura, perché se non riusciamo a intervenire in tutti gli strati, dal popolare all’intellettuale, promuovendo una cultura convinta della necessità di superare ogni chiusura all’isolamento, alla separatezza, per giungere alla capacità di lavorare in squadra, di accogliere all’interno di questo lavoro l’alterità, la diversità dei suoi membri e questa diversità come ricchezza e non come pericolo, non saremo mai in grado di porre le basi di un reale mutamento di atteggiamento mentale per l’inizio di un’epoca più solidale. Abbiamo bisogno non “del primo della classe”, ancora così dominante, ma di “gruppo di lavoro” in cui il primo è capace di chinarsi anche sui soggetti più deboli, per trarne tutte le vitalità che anch’essi portano, se pure in misura minore. Perché la legge della “reciprocità” prevalga su quella della “superiorità”, senza cancellare per questo i doni personali che ciascuno ha, ma ponendoli al servizio di chi ci vive vicino e costituirà domani o il compagno di lavoro o il collega di professione. Ma qual è il rapporto delle giovani generazioni con la legalità, quale percezione hanno i ragazzi dei fenomeni di tipo mafioso, della corruzione? Nel nostro Paese assistiamo ad una grave crisi della legalità: è venuto meno il sistema dei valori, il senso etico. Le notizie, i dati, le informazioni riportate dagli organi d’informazione ci parlano di cattivi esempi, che portano a cattive imitazioni. L’impegno civile e politico diventa ogni giorno più difficile, soprattutto per i giovani, che, spinti verso naturali aspirazioni e ricerca di certezze per il proprio futuro, risentono oggi più che mai della progressiva riduzione dell’etica contemporanea, ridotta ad una mera fase di patteggiamento tra le istituzioni, partiti e le forze sociali. È necessario quindi che l’attuale isolamento giovanile, si trasformi in appartenenza generazionale, naturale filtro di un percorso di crescita e di cambiamento, per quella stessa società in cui bisogna stimolare sentimenti partecipativi e d’appartenenza. Bisogna che i problemi ed il disagio della nostra gente diventino problemi e disagio dell’intera società, di quella stessa società che deve ritrovare la dignità per rinnovarsi. Quando i cittadini non vedono risultati di efficienza e di benessere sociale, non vedono perseguiti interessi collettivi, non vedono trasparenza e pulizia morale, allora sì che si rischia che prenda il sopravvento la delusione, la sfiducia, il declino etnico, l’indifferenza, l’atavica rassegnazione. Bisogna stare attenti alle utopie di oggi, ai sogni di oggi, bisogna far sì che i sogni rimangano ancorati ai veri valori della vita e non ad un orizzonte culturale che enfatizza il culto dell’immagine, dei soldi, della prestazione, del risultato a qualsiasi costo, e quindi il doping, la chirurgia estetica, il mito delle veline, dei calciatori e dei cantanti o dei partecipanti al Talk Show di successo. Bisogna stare attenti perché un sogno del genere si trasforma in fragilità sociale, in predisposizione a essere manipolati dalla demagogia, in passiva e inerte attesa del miracolo, del santo protettore, del principe azzurro sul bianco cavallo, del giustiziere che vendicherà i torti e instaurerà la vera giustizia, il regno della felicità, concedendo a tutti una libertà senza regole, senza valori, senza steccati da superare o da rispettare, fatta di piccole e grandi furberie, di enormi egoismi, di facili scorciatoie. Stiamo attenti questo è l’orizzonte culturale che ci sta fregando, ci sta appiattendo, ci sta adeguando, tutti. E la mafia ringrazia, perché è il suo orizzonte culturale moltiplicato per dieci, ma non è solo il suo ma anche quello di chi è potente, di chi persegue il preciso disegno di mantenere in eterno il disagio sociale, il bisogno, la disoccupazione e tutte le altre calamità sociali, per potere poi intervenire, con una intermediazione interessata, per risolvere il problema del singolo ed ottenerne il consenso, per gestire potere sui cittadini ridotti a sudditi. Qual è il futuro di una società che non trasmette valori e fiducia? Quale il futuro di una politica vissuta solamente come luogo di relazione clientelare? Appare dunque questa la sfida della società: ”rieducare” la popolazione e formare una nuova classe dirigente. E chi lo può fare se non un esercito di educatori? La cultura, la conoscenza aprono la nostra mente alla riflessione ed al coraggio, al rispetto degli altri e alla tolleranza; ci rendono migliori, ci rendono più liberi. Nessun regime autoritario potrà mai fermare il nostro pensiero. La legalità è la forza dei deboli, delle vittime dei soprusi e delle violenze dei ricatti del potere. Forte e diffuso è il rischio di un assordante silenzio, della disattenzione, dello sconforto, della rassegnazione, della rimozione, del rifugio nel mito di martiri ed eroi in una oleografia staccata dalla realtà di oggi. Il silenzio è l’ossigeno grazie al quale i sistemi criminali, si rafforzano, si riorganizzano. I silenzi di oggi saremo destinati a pagarli più duramente domani, con una mafia sempre più forte, con cittadini sempre meno liberi. La legalità, l’educazione fa rumore, da fastidio è scomoda. Da persone civili pertanto siamo tenuti ad essere collaboratori dell’educazione e della legalità.
Manila Di Gennaro