Per dare un senso alla morte di Falcone

23 Maggio 1992, ore 17.58, sull’autostrada Palermo-Punta Raisi, all’altezza dello svincolo per Capaci, 500 kg di tritolo fanno saltare in aria l’auto del Giudice Giovanni Falcone, uccidendo lui, la moglie Francesca Morvillo e i tre agenti della scorta. Da quel giorno sono 28 anni che il nostro paese celebra la ricorrenza della morte di Falcone, tra lenzuola bianche appese a case private e a finestre di istituzioni, discorsi sulla necessità di contrastare le organizzazioni criminali e sul coraggio delle vittime della mafia.
Nonostante questo le notizie di cronaca ci parlano ancora di intrecci tra mafia e politica, imprenditori, professionisti con la complicità di una società, forse meno omertosa di prima ma ancora troppo omertosa.
Vogliamo quindi ricordare quello che per Giovanni Falcone significava la lotta alla mafia attraverso le parole del suo caro amico Paolo Borsellino, ucciso il 19 luglio 1992:

La lotta alla mafia (il primo problema morale da risolvere nella nostra terra, bellissima e disgraziata) non doveva essere soltanto una distaccata opera di repressione, ma un movimento culturale e morale, che coinvolgesse tutti, specialmente le giovani generazioni, le più adatte, proprio perché meno appesantite dai condizionamenti e dai ragionamenti utilitaristici che fanno accettare la convivenza col male, le più adatte cioè, queste giovani generazioni, a sentire subito la bellezza del fresco profumo di libertà che fa rifiutare il puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità e, quindi, della complicità.
Ricordo la felicità di Falcone, e di tutti quelli che lo affiancavamo, quando, in un breve periodo di entusiasmo conseguente ai dirompenti successi originati dalle dichiarazioni di Buscetta, egli mi disse: ‘La gente fa il tifo per noi’.

E con ciò non intendeva riferirsi soltanto al conforto che l’appoggio morale della popolazione dà al lavoro del giudice, significava di più, significava soprattutto che il nostro lavoro, il suo lavoro, stava anche smuovendo le coscienze, rompendo i sentimenti di accettazione della convivenza con la mafia, che costituiscono la vera forza della mafia.
Occorre evitare che si ritorni di nuovo indietro: occorre dare un senso a questa morte di Falcone, a questa morte di sua moglie, a questa morte degli uomini della sua scorta.
Sono morti tutti per noi e abbiamo un grosso debito verso di loro; e questo debito dobbiamo pagarlo, gioiosamente, continuando la loro opera: facendo il nostro dovere, rispettando le leggi, anche quelle che ci impongono sacrifici. Rifiutando di trarre dal sistema mafioso anche i benefici che possono derivarne (anche gli aiuti, le raccomandazioni, i posti di lavoro), collaborando con la giustizia, testimoniando i valori in cui crediamo, anche nelle aule di giustizia. Troncando immediatamente ogni legame di interesse, anche quelli che ci sembrano innocui, con qualsiasi persona portatrice di interessi mafiosi, grossi o piccoli; accettando in pieno questa gravosa e bellissima eredità di spirito; dimostrando a noi stessi e al mondo che Falcone È VIVO”.

(Parole pronunciate alla Veglia per Giovanni Falcone, nella chiesa di Sant’Ernesto, a Palermo il 23 giugno 1992)