Castello di S. Severa. Bacheca: “Ne cederemo una parte ai privati”

castello s. severaSANTA MARINELLA – Il tanto atteso Consiglio Comunale aperto sul Castello di Santa Severa si è finalmente svolto. Richiesto, acclamato, rimandato, sperato e infine ottenuto, ha visto per la verità poca partecipazione da parte della cittadinanza. Che informarsi sulle sorti di uno dei maggiori patrimoni archeologici della nostra ridente cittadina sia troppo in un afoso pomeriggio estivo con il mare a un centinaio di metri? Forse! Fatto sta che il pubblico era poco numeroso e formato, per lo più, dagli esponenti delle ormai venticinque associazioni riunite nel Comitato del Castello e pochi altri volenterosi e propositivi cittadini. Il sindaco Roberto Bacheca ha aggiornato i presenti circa l’incontro avvenuto pochi giorni fa in Regione con l’assessore Cetica e l’assessore Armeni e ha felicemente annunciato che la presenza del Castello nell’elenco dei beni alienabili della Regione è stato frutto di un mero errore; ha ricordato inoltre che, prima del collaudo che avverrà a fine lavori, non si può iniziare alcuna procedura, neanche a scrivere il bando. “Il Castello è un bene inalienabile, non ci sono dubbi – ha dichiarato il sindaco di Santa Marinella – quello che è stato riportato nella legge finanziaria è stato un errore. Questo è stato il primo chiarimento fondamentale con la Regione Lazio. Inoltre ancora la Provincia non ha concluso i cantieri dei lavori, mancano infatti due interventi di cui stanno per recapitarci i progetti da approvare in Giunta. Senza questi due ultimi lavori non si può collaudare il sito e senza il collaudo non si può fare il bando”. I tempi sembrano pertanto ancora lunghi, ma possono essere sfruttati al meglio per preparare un piano da presentare alla Regione per negoziare i nostri spazi futuri. A questo è essenzialmente servito il consiglio aperto di ieri: per fissare una data e delle condizioni entro cui redigere un progetto da trasformare in una mozione unitaria che sarà poi portata e votata al Consiglio Comunale, anche perché, per l’assenza del Segretario comunale, ieri non si sarebbe comunque potuto votare alcunchè, nonostante una proposta di mozione fosse già pronta e in mano ai consiglieri. Comunque, le carte sono ormai scoperte: il Castello era un bene dell’ex S. Spirito, passato poi alla Gepra, associazione che avrebbe dovuto valorizzarlo ma che, sciogliendosi, ha consegnato il patrimonio alla Regione Lazio, attuale proprietaria. Secondo una recente legge tutti i beni che hanno seguito questo percorso devono andare a coprire il buco del bilancio della sanità della Regione Lazio ma, fortunatamente, il Castello ha dei vincoli archeologici che lo rendono bene inalienabile e gli assessori Armeni e Cetica, a detta del sindaco Bacheca, sono dalla parte della popolazione santamarinellese. L’Amministrazione comunale ha comunque condiviso la volontà di riaprire le visite guidate, di assicurare la manutenzione, di mandare tutto a regime con un bando europeo, di lottare per ottenere gli spazi utili per il territorio all’interno della Rocca. L’intenzione dell’Amministrazione è quella di mettere a bando una parte del castello per privatizzarla a causa dell’impossibilità di gestirlo pubblicamente: la Regione vorrebbe infatti, solo di affitto, tra i 250.000 e i 450.000 euro all’anno. “È importante mediare con la Regione – ha dichiarato il sindaco Bacheca – ma bisogna avere uno sguardo realistico, non è pensabile che il Comune possa gestire da solo tutto il Castello. Oltre a quello che tutti noi vorremmo, bisogna fare i conti con la legge e la realtà dei fatti”. Con questa sentenza dal retrogusto amaro, quasi con animo già sconfitto ma pragmatico, Roberto Bacheca ha risposto alle critiche che gli sono state mosse, le principali delle quali riguardavano il fatto che di tutto il Castello, la concessione della Rocca e della Torre e neanche per intero, non sia in realtà una concessione ma un affare a discapito del Comune, e che invece di darle in gestione a qualcun altro, magari per 99 anni, ( il che, di fatto, equivarrebbe a vendere il Castello), si potrebbe sfruttare questa grande risorsa per il Comune e per l’intero territorio facendo di esso un volano per la cultura, l’economia e il turismo della città. La grande paura della popolazione e del Comitato è che, privatizzando il Castello, si privino le persone di una risorsa e di un bene prezioso, tra l’atro restaurato (neanche così bene) dalla Provincia di Roma con circa quattordici milioni di euro dei contribuenti e che la sua inalienabilità sia solo uno specchio per le allodole; con il rischio di perderlo, come è già successo con il Porto. Ma questa non sembra più una lotta locale: ormai ci si sta attrezzando per una lotta nazionale contro la svendita dell’immenso patrimonio archeologico e artistico italiano per uscire dalla crisi, quando, magari, basterebbe riuscire a metterlo a regime per guadagnarci due volte tanto. La battaglia che cittadini e Amministrazione Comunale stanno conducendo per cercare di salvare il Castello è dunque ancora all’inizio.

Francesca Ivol