Il 2016 è stato un anno complesso, soprattutto dal punto di vista politico. Due sono stati infatti gli avvenimenti più attesi, che hanno messo sotto sopra le certezze e le speranze di analisti e opinionisti politici. La prima “mazzata” è arrivata con il referendum sulla Brexit, ossia l’uscita del Regno Unito dall’Unione europea. Con il 51,9 % dei consensi, il fronte antieuropeista capitanato da Nigel Farage ha surclassato lo schieramento del “remain”, fermo al 48,1%.
Nonostante si sia trattato di un referendum consultivo, la portata politica, unita al grande valore simbolico ed emozionale che ha suscitato la brexit dentro e fuori i confini del regno di Sua Maestà, avrà delle conseguenze fin da subito concrete.
Tra queste, la lettera di notifica della premier TheresaMay al presidente del consiglio europeo, al fine di certificare l’uscita formale del Regno Unito dall’Unione.
Naturalmente, visto il carattere del tutto straordinario di tale decisione, la strada è irta di ostacoli, politici e procedurali. Il primo, che molti invocano, è il necessario passaggio in Parlamento sul quale la Corte suprema del regno Unito dovrà pronunciarsi da qui a breve. Non è andata meglio ai “cugini” d’Oltreoceano, che contro ogni pronostico e sondaggio hanno visto prevalere il magnate Donald Trump ai danni di Hillary Clinton.
Trump è stato eletto 45° presidente degli Stati Uniti d’America con 306 grandi elettori contro i 232 della ex first lady. La vittoria di “the Donald” ha suscitato immediatamente forte preoccupazione in giro per il mondo a causa delle sue idee nazionaliste e protezioniste e per alcune , soprattutto riguardo la politica estera, aggressive e interventiste. Se da una parte, quindi, L’Europa trema e vacilla sotto i colpi della brexit, gli Stati Uniti, con l’elezione a sorpresa di Trump, archiviano l’era della “quiete” di Obama, per ritrovarsi potenza aggressiva e nazionalista. I due eventi sono accomunati, soprattutto per ciò che attiene la composizione dei due elettorati. In entrambi i casi le fasce di popolazione meno abbienti, perlopiù residenti nelle zone rurali e periferiche, hanno preferito il voto “conservatore”.
Al contrario, nelle grandi città hanno prevalso da una parte il “remain” e dall’altro Hillary Clinton. L’idea che si tratti di voti antisistema è più che una ipotesi. Il mondo anglosassone rischia di essere il termometro di una crisi generale di valori e sentimenti condivisi, peggiorati dall’ attuale fallimento politico dell’Europa, con un’integrazione mai del tutto compiutasi, e agli effetti della crisi economica americana.
Ismaele De Crescenzo