“Pd: quo vadis?”

CIVITAVECCHIA – Quanto avvenuto a Roma, ai danni dei lavoratori delle acciaierie di Terni, merita riflessioni che, per quel che mi riguarda, non possono che essere amare. La prima considerazione che mi viene da fare è fin troppo facile e scontata. Ma non farla sarebbe reticenza. Non ho alcuna volontà di esprimere valutazioni pietose. Erano molti anni che la polizia non usava la violenza per reprimere legittime e democratiche manifestazioni di piazza. Per di più chi stava manifestando lottava per non perdere il proprio lavoro. Si può immaginare lo stato d’animo di chi è prossimo a non avere più risorse per sé e la propria famiglia? Si può ragionevolmente supporre che via sia in questi avvenimenti una responsabilità morale? Io penso che sia ragionevole supporlo. Il disprezzo e il tentativo di isolare le forze del lavoro; l’aver inviato al paese un messaggio che parlava di isolamento verso il sindacato e i lavoratori. Diciamolo senza riserve. Forse ha creato un clima nel quale qualche zelante “servo” dello Stato ha pensato che oggi vi erano le condizioni per fare ciò che, in altre stagioni, non avrebbe osato nemmeno pensare. Ciò è avvenuto quando al Governo del Paese, in posizione maggioritaria, c’è un partito, il partito Democratico, al quale io appartengo (per inciso), che si richiama a valori forti che hanno, per esplicita ammissione, un radicamento forte nel mondo del lavoro. Ciò è avvenuto quando il Governo punta con modalità esplicite ad una marginalizzazione delle rappresentanze sindacali. Si è non solo guardato con sufficienza ed arroganza alla grande manifestazione della CGIL ma si è anche negata la naturale vocazione alla trattativa, propria di ogni organizzazione sindacale. Ciò è avvenuto quando è in discussione un complesso di misure sul lavoro che riportano indietro le lancette della storia per milioni di lavoratori italiani. L’alibi è ancora una volta quello del presunto rinnovamento; di alleggerire il mercato del lavoro da regole che frenerebbero lo sviluppo; di disegnare un immaginifico welfare con le casette di marzapane, come nelle migliori favole. Purtroppo non è dato in alcun luogo di potersi misurare nel merito. Di poter spiegare le ragioni di una opposizione intransigente a politiche che non hanno nulla di liberale, salvo per le imprese che riacquistano la piena libertà di utilizzare a proprio piacimento il lavoro delle persone. Non c’è nulla di moderno in questo. Nulla di moderno nella perdita dei diritti da parte dei lavoratori. Si tratta di storia già vissuta. Sarebbe sufficiente rilevare come non esiste in alcuna parte del mondo una società di tipo democratico che abbia sviluppato la propria economia a danno delle tutele per i lavoratori. Abbiamo esempi del tutto opposti. In tanta parte del nostro meridione la violazione delle regole è una costante eppure ciò non attrae investimenti. Le realtà più povere e sottosviluppate sono anche quelle più povere di diritti e di tutele. Il sindacato, ed in particolare la CGIL, è chiuso nella propria visione arcaica? Ma non diciamo sciocchezze. La verità è che non è sostenibile né accettabile uno scambio tra diritti e lavoro. Togliere la possibilità di essere reintegrato se licenziato ingiustamente; avere piena libertà di modificare al ribasso le mansioni di un lavoratore; depotenziare l’efficacia dei fondi pensione; proporre un utilizzo penalizzante del proprio TFR. Cosa ha a che vedere tutto ciò con l’esigenza di aumentare i livelli occupazionali? Di questo il paese ha bisogno. Questo si può realizzare solo a condizione di pompare risorse importanti nel sistema. Le risorse, per gli investimenti, vanno prelevate da una seria lotta agli sprechi, sottraendole ai ceti parassitari che hanno sempre evaso i propri doveri fiscali e alle speculazioni finanziarie. L’Italia ha necessità di una vera modernizzazione che passa dal togliere privilegi alle caste professionali sino ad una complesso di riforme sul terreno fiscale, giudiziario e istituzionale. E’ in questa direzione che va indirizzata una lotta senza quartiere. E’ su questo terreno che un partito progressista e di centro-sinistra deve condurre le proprie iniziative. Altri terreni sono impropri e rischiano di snaturarlo. Non resto nel PD per mantenere un rispettoso silenzio. Resto nel PD per provare a cambiarne le politiche. Non si tratta di uscirne. Semmai si tratta di attrarre nuove forze e aumentare il peso di quanti nel PD pensano che il Paese abbia bisogno per uscire dalla crisi di un partito che mantenga saldi i propri riferimenti ideali e che vogliono impegnarsi per la costruzione di un partito che si ponga il problema di rinnovare se stesso e la società, a partire dalla salvaguardia della propria memoria storica. Una grande storia di cui si può andare orgogliosi.

Piero Alessi