CIVITAVECCHIA – Il flusso di coloro che approdano sulle nostre coste è in costante crescita. Le stime del primo semestre 2015 del Ministero dell’Interno parlano di circa 78 mila persone censite, di cui 48 mila sono ospitate in strutture temporanee. La regione che ne accoglie di più è la Sicilia, con il 19% seguita, dal Lazio con l’11% (secondo altre stime il Lazio è al terzo posto dopo la Lombardia); percentuali più basse nelle altre regioni. L’opinione pubblica è divisa tra chi vorrebbe accoglierli e chi invece vorrebbe rimandarli indietro, magari cercando di portare aiuti direttamente nei paesi di origine. Mentre parliamo e scriviamo tutti i giorni di questo problema, non solo nazionale, il fatto certo è che i flussi migratori sono divenuti inarrestabili. A poco valgono i muri o i respingimenti di qualunque genere, di fronte a un disastro umanitario di tale portata.
Ma una volta giunti nella nostra penisola, ristorati nell’immediato delle necessità più urgenti, cosa si sta realmente facendo per coloro che rimangono? E’ concretamente possibile realizzare quel processo di integrazione che impedisca anche in Italia il ripetersi degli eventi drammatici di Parigi e Bruxelles? Per approfondire questi temi tanto dibattuti, per i quali ancora nessuno è stato in grado di fornire risposte definitive, noi della rubrica “Grandangolo” abbiamo rivolto alcune domande a Elvira Vento, una giovane donna operatrice del progetto Sprar in servizio attivo presso l’Arci, Comitato territoriale di Civitavecchia.
Innanzitutto cos’è il progetto Sprar?
“Il Sistema di Protezione Richiedenti Asilo e Rifugiati per conto del Comune di Santa Marinella. Si tratta di un progetto di accoglienza, opposto a quello sperimentato anni scorsi con la Caserma De Carolis, perché i rifugiati vengono accolti in appartamenti e seguiti direttamente da specifiche figure professionali, in modo da agevolare il loro inserimento nel contesto socio-culturale di riferimento.”
Di cosa ti occupi?
“Insegno italiano a circa 32 ragazzi, dai 18 ai 40 anni, richiedenti asilo e già titolari di protezione internazionale per motivi umanitari provenienti da diversi paesi dell’Africa. Sono in fuga da guerre, persecuzioni religiose e/o discriminazioni di ogni tipo. Lo scorso anno abbiamo accolto anche 3 nuclei familiari della Nigeria con 2 neonate.”
Come sei arrivata all’Arci?
“Per caso. Dopo la laurea in lettere a marzo 2015, la certificazione Ditals secondo livello che abilita l’insegnamento dell’italiano L2 per stranieri e il relativo tirocinio presso ex CTP (Centro territoriale permanente) n. 23 di Ladispoli sono approdata all’Arci.”
Incontri delle difficoltà nel tuo lavoro di insegnante ai migranti?
“Le barriere linguistiche sono effettivamente un ostacolo. Più basso è il livello di alfabetizzazione, maggiormente faticose sono l’insegnamento della lingua italiana nonostante i corsi per difficoltà cognitive e la loro capacità di apprendimento. Riusciamo, comunque, a portare i più giovani ad un buon livello di conoscenza della lingua e al conseguimento della licenza media.”
Quali occasioni di lavoro riesce a creare il progetto Sprar per i suoi beneficiari?
“Per ognuno di loro viene creato un percorso individuale. In questi ultimi mesi Arci e CFP di Civitavecchia hanno attivato per 10 ragazzi Sprar, con un livello d’italiano A2, un corso per l’acquisizione di competenze nel settore della ristorazione: 140 ore comprensivo di cucina pratica e corso di primo soccorso, sicurezza e Haccp; terminato Il 18 febbraio, ciascuno di loro ha conseguito il relativo certificato, indispensabile per poter lavorare nel settore ristorazione. Pare si stiano già aprendo degli sbocchi lavorativi, speriamo in seri contratti di lavoro. Quella giornata è stata per noi operatori Arci e loro, ricca di soddisfazioni e come tutti i ragazzi del mondo si sono fatti subito le foto inviandole alle loro famiglie.”
Pensi che il progetto Sprar possa essere un valido strumento ai fini dell’integrazione?
“E’ un sistema vincente perché offre ai beneficiari, oltre all’accoglienza, servizi d’integrazione attraverso la formazione linguistica e professionale.”
Che idea ti sei fatta dell’eventualità di un Cara a Civitavecchia?
“Negativa, se si può ancora parlare di Cara. L’Arci nazionale è sempre stata contraria a questo sistema di prima accoglienza per una serie di motivi: tempi di permanenza all’interno ben più lunghi di quelli previsti, con conseguente ghettizzazione dei migranti e perdita di dignità; elevati costi legati alla ristrutturazione del Cara (illuminazione, servizi di sicurezza, vigilanza e così via) rispetto a quelli dello Sprar: 35 euro per beneficiario cui si devono aggiungere i costi per fitto appartamenti, vestiario e remunerazioni degli operatori del progetto.”
Sei soddisfatta di questo lavoro?
“Ne sono contenta perché in appena nove mesi sono riuscita a instaurare relazioni umane, positive e costruttive con ciascun beneficiario. Ogni tanto ci possono essere degli scontri, superati però chiarendoci subito. In classe si lavora tanto per risolvere ogni problematica. Ciò che conta è essere aperti l’un l’altro al dialogo ed essere pronti a comprendere. Stando accanto a questi ragazzi/beneficiari che all’incirca hanno la mia età, ho avuto modo di conoscere alcune terribili esperienze di vita. Il confronto mi ha fatto conoscere altre realtà e comprendere che chi nasce e vive in Europa ha comunque delle opportunità: studio, lavoro, casa, famiglia che in altri paesi vengono negate.”
Quali sono i tuoi progetti futuri?
“Molti. Per primo, sensibilizzare i giovani del territorio nei confronti dei migranti. Poi, nuovi corsi di formazione professionale per creare più opportunità di inclusione sociale. E, ultimo ma non ultimo, lavorare con i giovani perché è un campo che ti dà grandi possibilità.”
Antonella Marrucci