“Sulla Marina è tutto chiaro”

marinaCIVITAVECCHIA -Chi è realmente interessato alla verità sulla Marina, la può trovare nei documenti e nei fatti.
Chi, invece, in questi giorni è maggiormente appassionato da misteri, complotti e lotte intestine dei partiti, dovrebbe
chiedersi, piuttosto, come abbia fatto la Regione Lazio a credere all’incredibile versione escogitata dal Comune nel
tentativo di “sanare” l’insanabile, ovvero che dietro all’abbagliante muro di travertino che ha momentaneamente tappato i locali della Marina si nascondano solo due locali tecnici e un’enorme spazio vuoto, lasciato lì per consentire di “ispezionare” le strutture.
Si tratta, appunto, di un mistero inglorioso e, si spera, inutile, perché la Regione, in questa fase, non ha la facoltà di
“sanare” o “sbloccare” proprio niente, ma può solo respingere la domanda, come avrebbe dovuto fare nel caso della
Marina, e trasmettere gli atti all’Autorità Giudiziaria oppure avviare il procedimento di “sanatoria”, come inopinatamente ha fatto, inoltrando la documentazione alla Soprintendenza, alla quale spetta il parere vincolante.
Che i locali della Marina fossero negozi è evidente sin dall’inizio; la loro vera natura, infatti, oltre che nelle Delibere di
Giunta di ottobre e novembre 2010 che hanno approvato i progetti preliminare e definitivo dei negozi e nella
conseguente richiesta di un mutuo da 700.000 euro, è chiaramente descritta in una delle pubblicazioni propagandistiche dell’amministrazione Moscherini, finita di stampare a maggio 2009 e, quindi, qualche mese prima dell’avvio dei lavori, dal titolo preoccupante e imbarazzante di “Civitavecchia. La Rinascita”, dove, a proposito della cosiddetta terrazza panoramica della Marina, a pag. 34, i cercatori della verità potranno leggere: “al di sotto, troveranno posto negozi e magazzini contraddistinti da lunghe vetrate”. Rimarrebbe da chiarire come possano un sindaco e la sua maggioranza pensare di realizzare dei negozi su un’area di proprietà del demanio, in violazione al Piano Regolatore e senza chiedere l’autorizzazione paesaggistica, ma queste sono domande alle quali ognuno potrà trovare la risposta che crede.
D’altra parte, il fatto che i negozi oggi non ci siano o che si spergiuri che non ci saranno mai nemmeno in futuro, può dire qualcosa sullo spessore etico di alcune persone, ma non cambia assolutamente nulla in relazione al Codice del
Paesaggio, che è legge dello Stato dal primo maggio 2004.
Che gli spazi vuoti coperti dal muraglione bianco alla Marina servano per improbabili ispezioni o come pista di
pattinaggio per topi, che siano riempiti di terra, pneumatici o tortellini, non cambia la loro natura di volumi.
Il concetto di volume, dal punto di vista paesaggistico, lo ha chiarito il Ministero per i Beni Culturali con la circolare n. 33 del 26 giugno 2009 e, secondo il Ministero, un volume è: “qualsiasi manufatto costituito da parti chiuse emergente dal terreno o dalla sagoma di un fabbricato preesistente indipendentemente dalla destinazione d’uso del manufatto, ad
esclusione dei volumi tecnici”. I volumi realizzati, come nel caso della Marina, in assenza o in difformità
dall’autorizzazione paesaggistica non sono suscettibili di “sanatoria” o, meglio, di accertamento di compatibilità
paesaggistica e il loro destino è uno solo: la demolizione.
Sempre chi volesse cercare la verità, a questo punto dovrebbe vedere chiaramente che i manufatti della Marina al di
sopra dei quali i civitavecchiesi dovrebbero passeggiare, a parte la modesta porzione indicata come “locali tecnici”, che, peraltro, sarebbero tali solo se esiste il resto della costruzione, sono, secondo la definizione del Ministero,
indiscutibilmente dei volumi, indipendentemente dalla destinazione d’uso e, quindi, devono essere demoliti. Per questo, se si vuole rimanere nell’ambito di quanto prevede la legge, non è possibile alcuna via d’uscita politica o diplomatica, né è possibile imporre o vietare qualsivoglia destinazione per i volumi realizzati.
Senza la necessaria demolizione dell’abuso, non avrebbe nemmeno senso la richiesta di quanti oggi in buona fede
propongono che chi ha sbagliato paghi e che, da subito, si restituisca la Marina alla città. Se fosse accettata
l’invereconda domanda di “sanatoria” e tutto rimanesse così com’è, infatti, non pagherebbe nessuno. Anzi,
pagherebbero ancora i cittadini, tramite il Comune, una sanzione amministrativa fino a 20000 euro, ma nessuno sarebbe mai chiamato dalla Corte dei Conti a rispondere personalmente dei milioni di euro spesi per costruire e demolire un’opera inutile e abusiva. Rimarrebbe forse l’aspetto penale della vicenda, che nessuna sanatoria potrebbe cancellare, ma mi limito a constatare che i tempi di prescrizione per i cosiddetti delitti paesaggistici, ovvero sei anni, lasciano a qualsiasi cittadino italiano la concreta possibilità di uscire indenne da un eventuale processo.
Condivido pienamente la necessità di restituire, nel più breve tempo possibile, la Marina alla collettività, ma continuo a pensare che la demolizione dei locali abusivi sia imprescindibile, nella speranza, poi, che la Soprintendenza valuti
“sanabili” gli altri lavori eseguiti, tutti rigorosamente in assenza di autorizzazione.
Certo, in linea teorica esiste un’altra strada, quella imboccata pericolosamente dalla Regione, che porta a non vedere
l’insanabilità dei volumi realizzati e che, stendendo un velo sabbioso, consentirebbe di riaprire il cantiere domani
mattina. Ma, per quanto mi riguarda, è una strada pessima, figlia della corruzione mentale che sta rendendo, sempre di
più, il nostro Paese un brutto posto (non solo dal punto di vista estetico) in cui vivere. So bene che su quella strada c’è la fila e, infatti, non ho alcuna intenzione di percorrerla.

Alessandro Manuedda