L’odissea di sette italiani nell’Egitto in rivolta

egittoIl 24 gennaio 2011 sette amici sono partiti, a bordo della Nile Festival, per una crociera sul Nilo organizzata dal tour operator Sprintours, senza sapere che quel viaggio si sarebbe trasformato in un esodo. All’inizio tutto andava bene, anche se già dopo il secondo giorno iniziavano a ricevere informazioni circa disordini nelle città del Cairo, Alessandria e Suez. Hanno presto che non sarebbe filato tutto liscio ed iniziato a scrivere una sorta di “diario di viaggio” che descriveva il loro coinvolgimento in uno scontro fra manifestanti e polizia, con tanto di lancio di gas lacrimogeni: “I negozianti ci hanno letteralmente strappati dalla strada per nasconderci all’interno delle botteghe – il loro racconto – mettendosi poi loro stessi a protezione dell’ingresso e continuando a ripeterci di non aver paura, poiché nel retrobottega eravamo al sicuro. L’odore dei gas era terribile, oltre a piangere ci bruciavano naso e gola. Sbirciavamo uomini, donne e bambini egiziani fuggire piangendo in ogni direzione”. Costretti poi a navigare ininterrottamente fino a Luxor per motivi di sicurezza, il loro stato d’animo è peggiorato sempre più, mentre la preoccupazione circa il rientro in Italia aumentava di ora in ora.  “L’impossibilità di contattare i nostri cari a causa del black-out sia dei telefonini che di internet ci faceva sentire isolati. Inoltre le notizie del Tg italiano, che mostrava i tabelloni dell’aeroporto del Cairo con tutti i voli cancellati e la gente ammassata, ci allarmavano sempre più”. Non fidandosi più del tour operator, dopo che il referente li aveva abbandonati nel momento del massimo pericolo e che l’organizzazione stava facendo acqua da tutte le parti, hanno chiesto ed ottenuto ospitalità e protezione presso il comandante della Nile Festival, ma la situazione è iniziata e degenerare: “L’indomani, un pulmino mandato dalla Sprintours, ma con personale che non parlava assolutamente italiano ed in modo approssimativo anche l’inglese, ci è venuto a prendere per accompagnarci all’aeroporto di Luxor, dove tutti i voli risultavano cancellati e il coprifuoco, già in vigore al Cairo, era stato esteso a tutto il territorio nazionale dalle ore 16.00 alle ore 8.00 del mattino, impedendo il traffico aereo in quegli orari. In seguito, il referente del tour operator, peraltro fuggito ai primi disordini, ha dichiarato telefonicamente che la Sprintours non si riteneva più vincolata ad offrirci assistenza. Nel frattempo i parenti in Italia contattavano la Farnesina, che forniva il numero telefonico del console di Luxor alloggiato allo Sheraton. Peccato che il numero fosse inesistente e che il console non vi risiedesse più da oltre un anno!”. Mentre i funzionari dell’Ambasciata italiana al Cairo li invitavano a fermarsi a Luxor perché la situazione nell’aeroporto della capitale era assolutamente ingestibile e li informavano che la Farnesina stava organizzando dei C130 militari per il rimpatrio degli italiani rimasti bloccati in Egitto, sono stati costretti a lasciare l’imbarcazione e solo la mediazione dell’aeronautica militare italiana e la prodigalità del console di Luxor sono riusciti a sistemarli in un hotel al centro della città. La situazione si è fatta critica: “Al caos aeroportuale si aggiungevano brutalità di ogni genere commesse da bande di delinquenti. Erano state infatti assaltate le carceri e liberati non solo i detenuti politici, ma anche i criminali, i quali stavano mettendo a ferro a fuoco varie città. L’ospedale pediatrico oncologico era stato attaccato, i bambini buttati in terra ed i letti rubati. Venivano stuprate donne, derubate case e negozi, sgozzato chi opponeva resistenza. I dimostranti a centinaia di migliaia si riversavano nelle piazze. Al Cairo, i cecchini sparavano sui manifestanti anti Mubarak, la tv di Al Jazeera mostrava cariche di uomini in sella ai dromedari che infierivano sui dimostranti e camionette della polizia che, passando tra la folla a velocità elevata, investiva la gente e ne buttava i corpi in aria come birilli. Il pericolo dello scoppio di una guerra civile si faceva di ora in ora più temibile. Ascoltavamo ogni richiamo alla preghiera. Anche se non comprendevamo nulla, ci allarmava il tono, di giorno in giorno più sbraitante, del Muezzin. Spesso, dopo la preghiera, anche a Luxor si formavano dei cortei, in parte pro, in parte contro Mubarak, ma per fortuna di poca entità e, soprattutto, non armati. In questa situazione ci giungeva la proposta davvero inspiegabile dell’Ambasciata che, contrariamente alla linea di condotta fin qui tenuta, ci invitava a volare al Cairo dove avremmo dovuto acquistare un biglietto Alitalia per rientrare a Milano. Al nostro quesito, dove fosse finito il tanto pubblicizzato ponte aereo, ci veniva risposto che la Farnesina aveva in verità organizzato un solo C130, quello atterrato a Pratica di Mare e mostrato in tv, ma che non erano previsti altri aerei. Con tutte le spese sostenute e le carte di credito non funzionanti a causa del black out informatico, iniziavamo ad avere anche problemi di soldi. Il tutto proprio tra giovedì 3 febbraio, giorno della ‘caccia allo straniero’ e del ferimento di vari giornalisti al Cairo, e venerdì 4 febbraio, giornata in cui era prevista la più grande manifestazione con milioni di dimostranti in Piazza Tahrir. Il non aver accettato la proposta dell’ambasciata ci ha però tagliato fuori da ogni ulteriore interessamento. Dalla telefonata di cui sopra a tutt’oggi nessuno si è fatto più vivo. Siamo stati abbandonati a noi stessi, non soltanto dal tour operator, ma anche dai nostri diplomatici. Ormai ci sentivamo dei profughi, ma ben integrati nell’ambiente: mangiavamo nei botteghini egiziani, iniziavamo a pronunciare qualche parola in arabo e indossavamo gellaba e chador”. La situazione ha iniziato a sbloccarsi solo il venerdì, dopo che per fortuna l’esercito era riuscito a tenere divisi i due gruppi di dimostranti al Cairo, quelli contro e quelli pro Mubarak. Dopo due voli d’emergenza e due pernottamenti in aeroporto, i sette amici sono riusciti a rientrare in patria solo intorno alle 14 di domenica 6 febbraio. Esprimendo i loro  “più sentiti ringraziamenti al comandante e a tutto l’equipaggio della Nile Festival, al Console di Luxor, all’addetto militare al Cairo ed ai colleghi dell’aeronautica militare, ma soprattutto al popolo egiziano, che ci ha protetto e soccorso in ogni momento”. Ed il loro diario di viaggio si conclude così:  “Per il resto è una vergogna! In caso di emergenza vale davvero soltanto il detto: Aiutati che Dio (o in questo caso forse Allah?) ti aiuta! Non sperare né nella Farnesina, né nell’ambasciata, né nella compagnia di bandiera! Nessuno muove un dito per tirarti fuori dai guai, anzi si lucra sulla tragedia”.

Francesca Ivol