21 dicembre, la notte piú lunga dell’anno

solstizioOggi è il solstizio d’inverno, la notte più lunga dell’anno e quindi il giorno più corto, in cui il sole raggiunge la sua minima declinazione e la sua minima altezza sull’orizzonte. Il termine solstizio viene dal latino solstitium, che significa letteralmente “sole fermo”, perché il sole sembra fermarsi e la natura sospendersi finché non ci sarà la nascita di un nuovo sole vitale e “invincibile”.  Proprio per questo, in epoca romana, oggi veniva celebrato il dio Sole Invitto. La nascita del “novus solis” è all’origine della parola “Natale”, che deriva da una sua contrazione. In aggiunta all’originale “dies Natalis”, giorno di nascita, ecco pronta l’allusione alla nascita di Gesù Cristo e al Natale come tutti noi tradizionalmente siamo abituati a conoscere. L’ambiguità consiste nel non riuscire a definire di quale divinità si stia festeggiando la nascita, del sole, di Gesù, o di altre divinità. L’antropologo Van Gennep rileva che i nomi attribuiti al Natale variano molto più di quanto si pensi e ogni termine ha radici ben precise che affondano in uno specifico mondo di riti e credenze. Nel nostro caso l’origine più conosciuta deriva dal vocabolo Jul o Yule dei paesi germanici nordici: la parola deriverebbe da una radice legata al termine gotico “heul”, ruota, che si presta perfettamente al simbolismo della fine dell’anno e dell’eterno ritorno della luce. Yule è il tempo in cui i pagani lasciavano andare via le paure, i dubbi, i progetti finiti e le idee incompiute, tutto ciò che ci tiene lontani dai nuovi inizi che porteranno ad una crescita. In questa lunga notte si piantano i semi del cambiamento. Nell’antica Roma il solstizio d’inverno rientrava nei più ampi festeggiamenti chiamati Saturnalia, che iniziavano a metà dicembre e proseguivano fino a gennaio, in cui ci si mascherava, si consumavano lauti pranzi e ci si scambiavano le strenne, i regali natalizi. Era usanza tipica anche quella di decorare le case con ghirlande di alloro e di accendere candele sui sempreverdi, gli alberi venivano portati nelle case per dare agli spiriti dei boschi un posto dove stare caldi nel periodo freddo e decorati con campanelle per riconoscere quando uno spirito era presente, candele e nastrini colorati per attirare gli spiriti che venivano nutriti con pane, frutta e noci appese sui rami. In cima all’albero veniva messa una stella a cinque punte, simbolo dei cinque elementi. Venivano intonati canti di gruppo per guidare gli spiriti delle case e venivano accesi nei focolari i ceppi per dare calore. Un pezzo del ceppo veniva salvato e tenuto da conto per tutto l’anno per proteggere la casa. Sperando di cavalcare l’onda dell’energia positiva di questo giorno mistico, non ci resta che piantare i semi delle novità future, archiviare i frutti raccolti, quelli buoni e quelli cattivi, e iniziare a festeggiare questo periodo dell’anno sicuramente magico e misterioso come nessun altro. Che si  festeggi Yule, Natale, il Sole Invitto, Mitra, Tammuz o il dio Sole inca Wiracocha (festeggiato però a giugno perché nell’emisfero sud, essendo le stagioni rovesciate, il solstizio d’inverno cade in giugno), buone feste a tutti!

Francesca Ivol