Renato Vallanzasca, “l’angelo del male”

vallanzasca“Quando Dio ti concede un dono, ti consegna anche una frusta, e questa frusta è predisposta unicamente per l’autoflagellazione”. Questa frase di Truman Capote, introdotta proprio all’inizio del film, rappresenta la giusta chiave di lettura dell’intera vicenda del bandito e criminale Renato Vallanzasca, abilmente sfruttata dal regista, Michele Placido, per il suo film. I doni che Dio concesse al “bel Renè” furono fascino e arguzia, ma la sua frusta fu la scelleratezza. Quel giovane avrebbe potuto avere tutto quello che di buono la vita aveva da offrirgli, ma volutamente scelse  invece di distruggerla. Chissà poi perché. Il film ripercorre la storia del “ boss della Comasina” e della sua banda, che a cavallo tra gli anni ’70 e ’80, terrorizzò la Milano da bere con sequestri, rapine e omicidi. Sin da piccolo aveva manifestato una certa propensione per il crimine, insieme agli altri ragazzini della banda, come Enzo, Giorgio e la “sorellina” Antonella. Nel 1972, in un locale chic di Milano, Renato (Kim Rossi Stuart) incontra la bella Consuelo (Valeria Solarino) che diviene presto la sua compagna e successivamente mamma del suo unico figlio. Da sempre in lotta con l’altro suo grande rivale e nemico Francis Turatello, chiamato “Faccia d’angelo”, Renato si circonda di amici d’infanzia e abili mitraglieri per portare avanti il suo piano di rivalsa nei confronti del boss della mala vita. Ben presto, però, sopraggiunge il primo arresto per Renato, accusato di aver rapinato un furgone portavalori e per questo rinchiuso nel carcere di San Vittore, dal quale riesce ad evadere dopo 4 anni e mezzo. Intanto il conflitto con Turatello si fa sempre più aspro e, in un crescendo di violenza e brutalità, la banda consuma un delitto dietro l’altro. “René”, in seguito, decide di fare un salto di qualità entrando in un mercato più remunerativo e meno rischioso: il sequestro di persona. L’uccisione di due poliziotti lo trascina nuovamente in carcere e, questa volta, a Rebibbia, ha la possibilità di chiarire con il suo rivale Turatello e stringere una solida amicizia che porterà quest’ultimo a fare da testimone al matrimonio di Renato in carcere con Giuliana Brusa, perdutamente innamorata di lui. Vallanzasca sarà poi trasferito a Milano per partecipare ai processi che lo vedono coinvolto: durante un viaggio in nave per la Sardegna il boss riesce a scappare da un oblò e rifugiarsi dall’amica d’infanzia Antonella, per la quale si rende conto di provare un sentimento. Ricercato, nel 1987, viene nuovamente arrestato ad un posto di blocco. Dal 2003 è custodito nel carcere di Voghera come vigilato speciale e nel 2008 ha sposato Antonella D’Agostino.  Non è stato facile avvicinarsi a questo film cercando di mantenere un atteggiamento quanto più distaccato e a – morale nei confronti di un soggetto criminale di così grande spessore: questo è soprattutto ciò che ha cercato di fare Michele Placido decidendo di girare un film sulla vita del Vallanzasca. Nel corso di un’intervista egli stesso ha affermato che quello che trovava stimolante “da un punto di vista artistico e creativo, era entrare nella mente di un criminale per capire, con un approccio asettico e quasi entomologico, lontano da qualsiasi giudizio morale, che cosa si prova a stare in bilico tra la normalità e la devianza, a trovarsi al bivio tra il bene e il male e scegliere deliberatamente il male”. Una stupenda interpretazione per Kim Rossi Stuart che ha rivestito perfettamente i panni di Renato offrendo una prova di recitazione assolutamente fuori dagli schemi. Molto bene anche per Filippo Timi che ha magistralmente interpretato Enzo, il tossico/amico della banda, forse uno dei personaggi più difficili e controversi, restituendogli quella follia che lo contraddistingue. Non poche polemiche hanno accompagnato il film, presentato fuori concorso alla 67esima Mostra del Cinema di Venezia e attaccato da stampa e associazioni. Prima fra tutte la critica mossa da Emanuela Piantadosi, presidentessa dell’associazione Vittime del Dovere, nella lettera apparsa sulle pagine del Corriere della Sera, in cui viene fortemente espresso, da parte dei familiari, il “NO” alla presentazione del film di Placido. L’associazione ritiene che “le trasposizioni cinematografiche o letterarie che narrano le gesta di criminali, protagonisti di fatti di cronaca, costituiscano una pericolosa tentazione all’emulazione per soggetti particolarmente fragili”. Preoccupazione dovuta anche al fatto che negli anni ’70, il giovane Vallanzasca fu mediaticamente pubblicizzato dalla stampa proprio per il suo particolare fascino, la simpatia e l’indubbia leggerezza comportamentale. Il film trasmette una forte tensione emotiva, scaturita soprattutto dalle rocambolesche vicissitudini di Renato Vallanzasca, dagli amori, il sangue e la continua disperata ricerca di evasione dalle carceri in cui era detenuto. Placido, nel titolo del film, definisce la banda della Comasina “gli angeli del male”: un ossimoro che ben ricalca la forte componente contraddittoria insita in ognuno di loro. Lo stesso Vallanzasca, nella scena in cui rilascia un’intervista alla radio, dice di sé: “ io non sono cattivo, ho solo il lato oscuro un po’ pronunciato”. Come sempre è incredibilmente difficile in Italia raccontare un pezzo della nostra storia poiché si cerca di anteporre la questione etico – morale anche nei confronti dell’arte. La scelta di Placido è stata una scelta coraggiosa e ben riuscita perché ha voluto raccontare onestamente la storia di un criminale della nostra epoca lasciando da parte qualsiasi tipo di problematica morale, poiché non siamo noi i Giudici della nostra vita.

L. B.