CIVITAVECCHIA – “I cervelli in fuga” ci portano stavolta a Milano, dove ha scelto di vivere e lavorare Eleonora Landi, 36 enne civitavecchiese attualmente figura manageriale di una multinazionale americana con sede nel capoluogo lombardo. Le differenze tra due realtà sociali e lavorative profondamente diverse, oltre alla sensazione di rabbia e frustrazione dopo l’esperienza politica e lavorativa vissuta a Civitavecchia, in questa nuova e coinvolgente intervista.
Da quanto tempo ti sei trasferita? Perché hai deciso di lasciare Civitavecchia e dove vivi attualmente?
“Mi sono trasferita a Milano da poco pià di un anno, ma già nei due anni precedenti vivevo a Roma. Vivere a Civitavecchia e lavorare a Roma è sempre stato molto faticoso per me, non ho mai avuto orari lavorativi standard e il pendolarismo è un’esperineza debilitante. Trasferirmi a Roma è stato il regalo più bello che potessi farmi, la qualità della mia vita è nettamente migliorata. Nel 2016 ho poi deciso di trasferirmi a Milano per cogliere un’opportunità professionale”.
Qual è stata la tua formazione e quali esperienze lavorative hai accumulato?
“Sono una psicologa, quindi laurea ed iscrizione all’albo. Dopo alcune esperienze nell’ambito della psicologia clinica per lo più a titolo gratuito, ho deciso di frequentare un master in gestione risorse umane. Il mondo delle aziende mi ha sempre attratto. Molti di noi volenti o non passano gran parte della propria vita sul luogo di lavoro e il mio desiderio era impegnarmi in qualcosa che rendesse per lo meno più piacevole la relazione persona-azienda. Dopo il master ho inizato con le classiche esperienze di stage, tutte a Roma e poi finalmente il primo contratto a tempo indeterminato in una multinazionale francese dell’engineering. Qui sono arrivata a ricoprire il ruolo di HR Businees Partner per la divisione Aerospace Esperienza che mi ha formata molto dal punto di vista professionale ed umano e che mi ha fatto girare l’Italia in lungo e in largo. Ero da quattro anni in questa azienda quando mi è stato proposto l’incarico di Amministratore Unico della sot Ippocrate a Civitavecchia. Fino a quel momento per me Civitavecchia era diventata praticamente un dormitorio, la vivevo molto poco e tralasciando le esperienze lavorative da studentessa universitaria, non avevo praticamente mai nemmeno immaginato di poter lavorare nella mia città. Terminata l’esperienza in Ippocrate sono subito tornata a lavorare a Roma, alcune piccole collaborazioni per poi tornare in un’altra multinazionale dell’ingegneria. Qui ho inziato ad occuparmi in maniera molto più specifica di ricerca e selezione del personale. Ho lavorato quasi due anni in questa azienda e poi è arrivata la proposta di Milano”.
Di cosa ti occupi attualmente?
“Mi occupo di ricerca e selezione di figure ingegneriestiche per il mercato aerospaziale in una multinazionale americana che si occupa anche di consuelenza ingegneristica. A tutto questo appena posso e riesco affianco attività da formatrice ed ho da poco terminato una Scuola di business counseling e coaching e spero nel 2018 di terminare tirocinio ed esami per potermi abilitare. Ho il vizio di non riuscire facilmente a stare ferma”.
Quali differenze hai riscontrato, a livello di servizi e di qualità della vita, tra Civitavecchia e Milano, tra il nord e il sud Italia? E a livello lavorativo e contrattuale?
“Beh inutile dire che la qualità della mia vita è migliorata. Ho deciso di vendere la mia auto e mi muovo esclusivamente con mezzi pubblici, bike sharing e car sharing. Poter utilizzare un’applicazione per spostarsi in città e sapere perfettamente il tempo necessario per uno spostamento e a che ora passerà il bus, migliora nettamente la vita di chiunque. Milano inoltre è una metropoli, ma senza dubbio piccola, quindi abituata a Roma io la sento molto a misura d’uomo. Le distanze e la qualità dei servizi ti permettono di viverla e l’offerta artistico culturale è veramente elevata, ci sono molte iniziative, eventi, mostre e molte anche gratuite. Milano è una città con poca storia che ha deciso quindi di puntare su modernità e contemporaneità e lo sta facendo senza nulla da invidiare ad altre capitali europee. Di Civitavecchia ovviamente manca il mare e del sud in generale il sorriso che ovunque, in ogni esercizio pubblico puoi trovare. Diciamo che al nord sono leggermente più distaccati. A livello lavorativo sinceramente non ho trovato molte differenze, i miei orari e ritmi erano serrati a Roma e lo sono anche qui. Anzi direi che a Roma siamo abituati a lavorare molto di più. Ovviamente qui anche il costo della vita è molto più elevato e le retribuzioni non sono molto più alte di quelle del sud”.
È stato facile ambientarti oppure la vita milanese ha cambiato radicalmente le tue abitudini professionali e di vita quotidiana?
“Sento la mancanza delle relazioni più profonde. La mia famiglia, i miei affetti più cari sono tutti tra Civitavecchia e Roma. Trasferirsi, soli, a 36 anni, non è semplice, ma devo dire che sto creando il mio equilibrio e qui ho la possibilità di coltivare le mie passioni”.
Percepisci diffidenza nei confronti di chi arriva per lavoro a Milano da altre regioni? E’ solo campanilismo oppure è un fenomeno reale la competizione tra Roma e Milano? E rispetto alla presenza di immigrati quali sono l’atmosfera e gli umori che si respirano nel capoluogo lombardo? Ritieni che ci sia una maggiore insofferenza rispetto a Civitavecchia e ad altre parti d’Italia?
“Innanzitutto bisogna dire che a Milano sono davvero pochi i milanesi. In un anno credo di averne conosciuti al massimo 10. La presenza del sud è davvero molto forte e non ho mai percepito diffidenza. Credo che la competizione sia vissuta come tale soprattutto dai romani, dai milanesi non ho mai ricevuto battute in tal senso, anzi quei pochi che conosco mi dicono che in realtà io sono una ‘’romana imbruttita’’ ed è per questo che sono una delle poche che sta imparando ad amare questa città. Io rispondo sempre che se un milanese vivesse due settimane a Roma probabilmente morirebbe di stenti e che in realtà siamo noi i nevrotici, non loro. Per l’immigrazione, beh sicuramente anche Milano negli ultimi mesi è divenuta una importante città di snodo, sono aumentati noteveolmente i rifugiati e situazioni di emergenza visibili un po’ ovunque. Credo, purtroppo, che il senso di insofferenza sia trasversale al nostro paese. La crisi, la paura, il senso di instabilità porta più facilmente alla chiusura, al bisogno di riconoscimento tra simili piuttosto che all’apertura al nuovo. Il meccanismo più semplice è chiudersi e riconoscere un nemico da incolpare e combattere e personaggi come Salvini non fanno altro che alimentare meccanismi psicologici basilari. Ma io credo nel potenziale dell’essere umano, ce la faremo, spero”.
Torni spesso a Civitavecchia? E che idea ti sei fatta ogni volta che la rivedi, soprattutto dopo l’esperienza politica e amministrativa che hai vissuto in prima persona?
“Non torno spessissimo. Ora però quando torno riesco ad apprezzarla di più, riesco a vederne la bellezza. Nel 2012, probabilmente con fin troppa inconscienza, decisi che Civitavecchia poteva essere non solo il luogo dove ero nata e dormivo ma anche dove poter lavorare. Poteva essere un’opportunità, così, anche se avrei potuto mantenere entrambi gli impieghi, ho deciso di licenziarmi dalla multinazione, rinunciare al mio contratto a tempo indeterminato e accettare un contratto di collaborazione a Civitavecchia. Dopo più o meno soli venti giorni mi sono resa conto di ciò che aveva fatto. La situazione di Ippocrate come tutte le altre SOT era a dir poco tragica. Iva, contributi, fornitori non pagati. Soldi che non c’erano. La mia esperienza amministrativa e politica a Civitavecchia la definirei come disastrosa. Come amministratore di una sot sono stati due anni molto intensi, non dormivo la notte, passavo giornate intere a studiare articoli del testo unico degli enti locali, libri di economia, giurisprudenza, a cercare di capire cosa poter fare e spesso anche come potevo difendermi. Mi sono ritrovata a 31 anni a dover dire a persone che già guadagnavano 500 euro al mese che non avevo nemmeno quelle 500 euro da dargli. Io stessa ovviamente quando non avevamo i soldi non mi versavo lo stipendio. Rabbia, delusione, impotenza, frustrazione sono stati i sentimenti che ho vissuto. Questo è quello che mi ha dato la mia città e anche io non sono riuscita a dare molto, non sono riuscita a fare nulla di quello che mi ero riproposta. Mi ero illusa che avrei potuto finalmente dare un contributo reale nella città dove sono nata e cresciuta, ma la situazione era veramente tragica e la sudditanza psicologica di molte persone è spesso travolgente. Al momento sono ancora molto delusa e poco fiduciosa nella possibilità di cambiamento politico. Lo sono per Civitavecchia, ma in realtà ho perso riferimenti anche a livello nazionale”.
I “cervelli” della nostra città sono davvero destinati a fuggire? E quelli italiani?
“Non ritengo facile trovare posizioni lavorative specializzate e qualificate a Civitavecchia. Non vedo proprio un tessuto imprenditoriale in grado di fornire opportunità. Quindi si, direi che siamo tutti destinati a non restare a Civitavecchia. La distanza minima da percorrere direi che è quantomeno Roma. Più in generale estenderei il discorso all’Italia. Io lavoro nell’ingegneria ad esempio e quando mi imbatto in giovani ingegneri magari con tre anni di esperienza che lavorano in Germania con ura retribuzione annua lorda pari a 45.000 come posso proprorgli di tornare in Italia dove al massimo potrei pagarlo 28/30.000 euro?”
Hai valutato la possibilità di andare a lavorare all’estero?
“Sì, non l’ho ancora esclusa”.
Pensi di poter tornare a lavorare e vivere a Civitavecchia oppure la tua vita ormai è lontana da qui?
“Ovviamente a Civitavecchia sono le mie radici, ma credo non potrei mai più vivere lì. Ho ritmi, bisogni e stile di vita completamente diversi. In realtà è una città che mi è sempre stata stretta e appena ho avuto l’autonomia di poter scegliere l’ho lasciata. Stesso discorso vale per il lavorarci, non la vedevo prima la possibilità, non la vedo ora”.
Marco Galice