Da S. Marinella a Zanzibar, la porta d’Africa

SANTA MARINELLA – Pubblichiamo di seguito l’affascinante resoconto del viaggio a Zanzibar della nostra redattrice di S. Marinella Francesca Ivol.

La prima zona di terra che si incontra nell’Oceano Indiano venendo da Est, Zanzibar, è un groviglio di colori, sapori, odori ed emozioni che è difficile dipanare. Un assaggio di Africa nera come quella che si può trovare nell’entroterra della Tanzania e in Kenya, un retrogusto arabeggiante dovuto alla dominazione araba del passato, un accenno coloniale inglese, una modernissima ostilità nei confronti dell’imprenditoria cinese; questo e molto altro è Zanzibar. Il nome di questa isola deriva dal persiano “zanj”, termine che i persiani utilizzavano per indicare i “neri”. “Zangibar” significa “terra dei neri” mentre sono in molti a ritenere, per facile assonanza, che derivi dal termine arabo “zanjabil”, zenzero, una delle spezie per cui è famosa l’isola. Zanzibar è infatti anche detta l’isola delle spezie e degli odori. La porta d’Africa fa parte della Repubblica Unita della Tanzania dal 1964, malgrado gli zanzibarini vorrebbero invece l’indipendenza dall’entroterra. Gli zanzibarini chiamano la parte continentale della Tanzania ancora con il vecchio nome di Tanganica, sottolineando che il termine Tanzania viene dall’unione tra Tanganica e Zanzibar anche linguisticamente. Zanzibar fa parte di un piccolo arcipelago formato da Unguja, l’isola principale di Zanzibar, Pemba e tante altre piccole isole. Gli zanzibarini denunciano l’aumento della povertà da quando dipendono dalla Tanganica.
“Prima stavamo bene, noi siamo due milioni di persone su tutta l’isola e se i soldi del turismo restassero qui potremmo vivere quasi solo di quello e stare bene, invece tutti i soldi vanno in Tanganica e noi qui ci dobbiamo arrangiare. Hanno spostato lì la banca internazionale, hanno spostato il porto internazionale, le tasse che i turisti (50 dollari all’entrata e 35 all’uscita) pagano per vedere Zanzibar vanno in Tanganica e loro si arricchiscono e noi peggioriamo. Loro sono otto milioni di persone, noi siamo pochi, a livello elettorale non riusciremo mai a cambiare la situazione, l’unica soluzione sarebbe diventare indipendenti, allora sì torneremo a stare bene”, ci spiega “Il Sindaco”, un beach boys preparatissimo che prima lavorava con un tour operator italiano.
Pochi gradi sotto l’equatore, Zanzibar è attraversata da due monsoni, uno nella stagione delle piccole piogge e uno in quello delle grandi piogge. Il clima tropicale la rende soggetta a rapidissimi cambiamenti atmosferici, non di rado mentre ci si gode lo splendido sole africano i colori brillanti tipici della zona si scuriscono e arriva una pioggia torrenziale, caldissima, che dura dai 10 minuti al paio d’ore. Si susseguono quattro stagioni: calda e torrida: da dicembre a febbraio; le grandi piogge: tra marzo e maggio. In questo periodo il turismo è nullo, si chiudono i villaggi turistici, i masai, oggi commercianti e non più guerrieri, tornano in Tanganica a lavorare, all’università, a fare la loro vita quotidiana con i soldi guadagnati durante il resto dell’anno con i turisti a Zanzibar. La stagione secca si ha invece tra giugno e settembre, mentre tra ottobre e dicembre si ha la stagione delle piccole piogge. Nonostante questo la temperatura è costante intorno ai 30 gradi e si hanno 12 ore di sole equatoriale al giorno. La maggior parte dei tetti delle case e delle costruzioni sono fatte di lamiera, solo i villaggi più poveri hanno ancora le case di terra e i tetti di foglie, cortecce, ecc; questi ultimi, durante la stagione delle grandi piogge, spesso si sciolgono letteralmente e gli abitanti costruiscono poco distante una casa nuova, con la stessa tecnica. È facile vedere costruzioni distrutte in fila e al termine della fila una casa. “Costruirsi una casa è l’obiettivo principale per un uomo, solo che i mattoni costano tantissimo – ci spiega Ronaldinio – un altro ragazzo zanzibarino che ci fa da guida – qui uno stipendio medio è di 100 euro al mese (1500 per i parlamentari) e un mattone costa circa 50 centesimi, così quando abbiamo i soldi compriamo un po’ di mattoni e li lasciamo lì, dopo un po’ di tempo, quando abbiamo altri soldi, ne compriamo altri, ci mettiamo una vita a costruirci una casa”.
È facile vedere, lungo le strade, case iniziate, senza pareti e senza tetto. L’intera isola presenta una superficie di circa 80 chilometri di lunghezza e 50 di larghezza, al cui interno sono racchiuse meraviglie paesaggistiche e naturalistiche come i numerosi alberi baobab, il principe dei quali si trova sull’isola di “Quale”: un baobab ultracentenario caduto, ma ancora vivo, perché era troppo grande e il terreno corallino dell’isola non ce la faceva a sostenere le radici verticalmente, oppure le particolarissime scimmie con il dorso rosso, specie che esiste solo a Zanzibar; nella “Jozani Forest” è possibile incontrarne a decine. Ma Zanzibar è anche conosciuta come l’isola delle spezie, è possibile infatti riconoscere ed apprezzare in natura spezie che la maggior parte delle persone conosce solo in polvere nei barattoli dei supermercati. Gli odori e i sapori di quest’isola restano indelebili. Prison Island, l’isola dove venivano imprigionati gli schiavi prima di essere venduti, è un’isola privata, comprata da un sultano che vi ha portato la sua collezione di tartarughe di terra centenarie (la più anziana ha ben 185 anni) e adesso in mano all’imprenditoria indiana. Zanzibar fu, nel tempo, centro di diplomazie internazionali, dagli indù indiani ai mercanti del New England, ai somali, ai portoghesi, centro di scambi commerciali di vesti, tessuti, pelli, spezie, conchiglie e schiavi, battuti all’asta nello storico mercato di Stone Town, la capitale dell’isola, e da lì esportati in tutto l’Oceano Indiano. L’influenza congiunta delle culture arabe, persiane, bantu, indiane, cinese, è percepibile soprattutto nel centro storico di Stone Town, dichiarato patrimonio dell’umanità dall’Unesco e nella stessa lingua Swahili, caratterizzata da una struttura grammaticale bantu e un vocabolario ricco di termini di derivazione araba. Nonostante le difficoltà, sull’isola si sta tentando di portare avanti un sistema scolastico che non è dei peggiori e un sistema sanitario discreto. Grazie alla fecondità della terrà e alla pescosità dello splendido Oceano Indiano, a Zanzibar in pochi soffrono la fame, nonostante molta della popolazione viva al di sotto della soglia di povertà. Forse l’indipendenza dalla Tanganica potrebbe riportare l’isola all’antico benessere, ma per ora la situazione appare irrisolvibile: dopo le ultime criticate elezioni sono stati uccisi 27 manifestanti che sostenevano l’irregolarità di tali elezioni. Nonostante la degenerazione dello stato delle cose, per noi europei andare a Zanzibar vuol dire ancora entrare nell’eden, in un paradiso che con i suoi colori brillanti, i sapori speziati, la natura tropicale, l’Oceano cristallino, i sorrisi e le storie degli abitanti, i suoni, le canzoni, gli occhi dei bambini, il lento scorrere del tempo, la visione del paesaggio che cambia ogni sei ore in base alle maree, rimarrà inciso nella pietra dei nostri ricordi a lungo.

Francesca Ivol