CIVITAVECCHIA – Il primo verdetto queste elezioni amministrative lo hanno già emesso; ed è sicuramente una sconfitta per la politica cittadina. Lo confermano i numeri dei candidati sindaci, delle liste e, soprattutto, dei candidati al Consiglio comunale. Meglio non usare troppi giri di parole: 650 aspiranti consiglieri è un numero abnorme, assolutamente sproporzionato rispetto all’entità della popolazione cittadina e alla sua abituale partecipazione alla politica. Un numero che a mio avviso trova giustificazione in due aspetti sui quali la città dovrebbe riflettere e interrogarsi. E’ evidente da un lato che non esiste più la scuola di partito che formava una classe dirigente e, soprattutto, che mirava ad una selezione dei propri quadri migliori da sottoporre all’elettorato e a cui affidare il governo delle istituzioni. I 650 candidati dimostrano desolatamente che i candidati sindaci, tranne qualche eccezione, non puntano alla qualità ma alla quantità dei candidati, secondo un ragionamento “artigianale” quanto cinico: tanti candidati significano (teoricamente) tanti voti; e qui si ferma il discorso perché a quel punto le competenze di chi si inserisce in lista non sono più una priorità. Dall’altro lato è interessante anche comprendere la facilità con cui centinaia di persone aspirano ad un posto di consigliere comunale. Scorrendo i nomi che compongono le 29 liste si scorgono persone perfettamente sconosciute, assolutamente prive di esperienza e competenza politico-amministrativa; ma, soprattutto, si scorgono persone con titoli di studio che talvolta si fermano alla terza media. Per sentirsi in grado di ricoprire il ruolo di Consigliere comunale, mi viene da pensare, in tanti devono avere una grande presunzione, assai poca modestia, assai poca consapevolezza dei propri limiti; oppure non sono in grado di sapere che cosa significhi ricoprire un ruolo amministrativo di così forte valenza, impersonando un provincialismo ed una faciloneria ancora fortemente radicati nelle abitudini della popolazione civitavecchiese. E’ anche possibile che in molti siano consapevoli dei propri limiti e della propria incapacità a ricoprire un ruolo istituzionale ma non vivano con soggezione e preoccupazione il problema. E’ infine plausibile, e questa è la spiegazione sicuramente peggiore, che la consapevolezza dei propri limiti sia percepita ma che passi in subordine rispetto a quanto una candidatura, anche senza elezione, possa garantire in termini di ritorno personale; per essere più diretti: può essere che qualcuno si candidi fiutando il vantaggio di un favore promesso da chi ti chiede di candidarti e portare voti. Preferisco sorvolare sul discorso dei “casaccari”, che affronterò più dettagliatamente nei prossimi giorni perché meritano un discorso a parte, ed ammettere in contraddizione con le mie convinzioni e le mie ideologie una forma di razzismo che nutro in modo quasi viscerale: non sopporto i politici ignoranti. La politica, quando si vanno a ricoprire ruoli istituzionali ed amministrativi, assumendo scelte che riguardano il destino di una comunità, non è fatta per le persone senza cultura, senza competenze, senza professionalità, senza titoli di studio, senza esperienza di partito o di movimento alle spalle, senza anni di militanza. Non è fatta per chi non è in grado di esprimersi, di capire dove e quando mettere una “h” nell’uso del verbo avere. Perché la politica non è un gioco. Chi ricopre incarichi istituzionali si assume pesanti responsabilità e sceglie per gli altri. Sceglie per una città intera. Per il suo futuro. E negli ultimi anni la politica civitavecchiese ha favorito a piene mani che nelle sedi amministrative di Civitavecchia abbondassero politici ignoranti. Sarà un caso che Palazzo del Pincio è indebitato per 80 milioni di euro?
Marco Galice