Donne alla guida in Arabia Saudita

Dal mese di Giugno 2018 sarà finalmente possibile per le donne in Arabia Saudita guidare. Il primo di una lunga serie di diritti è stato finalmente conquistato in un paese che deve ancora fare passi enormi per garantirli alle donne.
Un campagna intrapresa contro il governo saudita dagli anni ’90 che portò in carcere molte attiviste che si sono battute per il diritto alla guida. L’annuncio è arrivato nel settembre 2017, quando il Re stabilì la fine del divieto dal 24 giugno 2018.
Ma questa è solo la punta dell’iceberg in un paese dove le donne non possono viaggiare, lavorare, accedere all’istruzione superiore o sposarsi senza il consenso di un tutore di sesso maschile. Una totale forma di castrazione dei diritti che però non ferma il senso di giustizia di molte attiviste che si battono per la fine di un sistema repressivo di discriminazione.
Il resto del mondo sembra fare ancora poco se non ignorare totalmente la situazione delle donne saudite. I semplici appelli del mondo politico internazionale al riconoscimento dei diritti non sono sufficienti se a questi fanno seguito decisioni contrastanti con la realtà del paese. Nel 2016 l’ambasciatore dell’Arabia Saudita presso le Nazioni Uniti era a capo del consiglio per i diritti umani dell’ONU. Pensare che il problema di discriminazione e repressione, che non riguarda solo le donne in Arabia, possa rimanere entro i confini geografici del paese e sia esclusivamente di competenza governativa contrasta con ben altre decisioni prese dalla comunità internazionale. In nome di diritti dei popoli si sono smantellati governi, invasi territori e scatenato guerre. I criteri che spingono  la comunità internazionale a intervenire sembrano così abbastanza discutibili, se non addirittura economici. Sia ben inteso che all’invasione e alla guerra ci sono  ben altri mezzi, e che i primi non sono né condivisibili tanto meno giustificabili. Ma tale parzialità di prese di posizione fa ben riflettere alla luce di strette  di mano in foto pubbliche tra i vari rappresentanti governativi, solitamente alla luce di accordi o contratti sottoscritti. I diritti umani sono merce non vendibile e non negoziabile ed ad oggi l’unico strumento e il più potente che abbiamo non è certo la guerra o le varie commissioni, ma le parole messe nero su bianco di tanti giornalisti uccisi o imprigionati

Roberta Piroli