CIVITAVECCHIA – D’accordo su molti concetti che esprimi, caro compagno Pascale. Ciò premesso voglio dirti che la definizione di una strategia per una possibile alternativa al sistema non nasce e non può nascere dall’ingegneria politica delle sigle e dalle relazioni fra partitocrazie tradizionali e/o nuove. Interrogandoci senza omettere di risponderci.
Il punto di partenza diventa perciò il tema della giustizia sociale, cioè della reintroduzione nell’agenda del socialismo di elementi di equità nei diritti (ciò che erano definiti un tempo come “elementi di socialismo”). Ricordo in questo senso lo Statuto dei lavoratori voluto da Giacomo Brodoloni, la riforma sanitaria di Giacomo Mancini, le politiche del lavoro di Fernando Santi, l’istituzione delle regioni, la riforma scolastica e della casa, le varie nazionalizzazioni sostenute da Riccardo Lombardi. Tutte cose che nel sociale provocarono una rottura con la società del tempo lungo una linea di progresso e che favorirono la nascita e l’evoluzione del movimento studentesco. In una parola “la politica delle cose” promulgata da Pietro Nenni e con la quale i socialisti italiani proposero nell’ormai lontano 1964 il rinnovamento della politica italiana raccogliendo in questo modo quello “sguardo” (cioè la sfida) privilegiato a sinistra che la DC degasperiana aveva proclamato sin da dopo la Liberazione. Su quella direttrice il primo tema che si propone oggi è quello dei contenuti in una società diversa rispetto a quella di allora ma posti sempre come premessa per rinnovare una società che va manifestandosi sempre più come ingiusta. Allora i socialisti su questi temi seppero sfidare e vincere anche il PCI, producendo purtroppo una rottura nel movimento operaio, sanata solo in parte dai processi di unità sindacale del tempo, e i cui effetti si risentono ancora oggi nel rapporto con il Pd, come tu oggettivamente affermi.
I contenuti della “politica delle cose” di oggi, cioè riformatrice riformista e progressista, vanno rintracciati e risolti nei temi dell’immigrazione, del lavoro, della casa, della sanità, del salario, della scuola, delle famiglie, delle coppie gay, delle diversità, delle donne, della negazione delle caste, delle istituzioni da rinnovare e risanare come anche la politica etc. etc. Tutte cose da affrontare nell’ambito di una società internazionale sempre più affidata ai mercati e sempre meno ispirata dai destini delle comunità: uomini donne bambini giovani e meno giovani. In tutte queste cose vanno reinseriti i diritti oggi negati e soluzioni legate al progresso senza sottacere le positività espresse dal mondo cattolico sui temi etici. Bisognerà avere la capacità – posto che si riesca in un progetto di riaggregazione socialista dopo la diaspora – di uscire dal proprio guscio per guardare a tutto ciò che si muove intorno a noi.
Ciò detto va ridefinito un giudizio sul Pd e su tutto ciò che lo ha preceduto. Il Pd non è partito di sinistra, non è laico, non riformista, non progressista. Il tentativo di rincorsa di frange del mondo cattolico di sinistra come soluzione di continuità alla proposta del “compromesso storico” berlingueriano (con i passaggi dal Pds ai Ds al Pd) lo ha relegato in mezzo al guado in posizione perenne e immobile. Con una diversità di fondo rispetto alla proposta di Berlinguer: il Pci aveva posizioni e contenuti di classe. Il Pd non li ha! Ciò – tuttavia – costituirebbe l’aspetto meno grave se non avesse risvolti socialmente negativi: cioè l’incapacità di esercitare scelte di classe: con chi sta il Pd di Bersani con i poveri o con i ricchi, con i potenti o con i meno abbienti, con i deboli e gli esposti o con i benestanti, con le banche o con i cittadini, e laico o cattolico? etc. etc. ma solo a mo’ di esempio. Con nessuno perché non ha la capacità di stare con tutti perché non ha la vocazione alla mediazione sociale della vecchia Dd, che era partito cattolico interclassista per le sue radici e credenze religiose innanzitutto. E un partito che non ha un’identità netta non può esercitare egemonie su niente e su nessuno; può nutrire solo delle velleità in questo senso.
Nel frattempo che fare? Cosa facciamo noi e/o il Psi di Nencini? In attesa di capirlo e di riempire di contenuti le nostre proposte politiche con una caratterizzazione necessariamente classista, collegata a qualche bandiera rossa che ancora circola nelle nostre sedi, riformista e progressista, in nome della libertà e della giustizia, dell’amore per la patria e per le istituzioni, possiamo solo pensare che non varrebbe la pena partecipare a primarie, secondarie e terziarie. Almeno sino a quando non ci saranno i contenuti. Se non facciamo niente e perseveriamo nelle divisioni allora non vale la pena nè di giudicare Bersani né di non partecipare alle primarie. E’ assolutamente insignificante in un senso e nell’altro.
Mario Flamini