“Perché non mi piace Saviano”

roberto savianoCIVITAVECCHIA – Oggi tutti idolatrano Saviano; dopo il successo editoriale è arrivato quello televisivo.
In internet, sui social netwok, campeggia la sua immagine un po’ imbambolata, con la barba incolta, l’aria da santone nel deserto e … il vestito da Superman.
Saviano ha quindi, nell’icona costruita dai suoi fan, tre caratteristiche: il santo, l’uomo “che può”, e l’essere fragile, bisognoso di protezione.
Soddisfa, dal punto di vista del marketing, tre bisogni fondamentali dell’Italia media di sinistra; il cattolicesimo latente, l’adorazione per il leader, ed il desiderio che ha ogni massa di poter, all’occorrenza, eliminare il simbolo quando non sarà più all’altezza.
Saviano racconta molte cose; ma quante di queste sono nuove, sconosciute, frutto di un’indagine giornalistica e quante delineano, realmente, i responsabili?
Certo, indicare nomi già noti alle forze dell’ordine e ai giudici è facile; più o meno la stessa operazione che fu di Marrazzo. A “Mi manda Rai 3” si massacravano aziende e truffatori su cui già pendevano processi, ma mai situazioni nuove, pressanti, urgenti, frutto di giornalismo investigativo… oltretutto, magicamente, le grandi aziende, anche se colpevoli, ne uscivano sempre indenni.
Ma torniamo a Saviano e prendiamo il caso del “connubio” tra politica del nord (leggi Lega) e organizzazioni criminali.
C’è realmente qualcosa di nuovo? Milano è stata ed è città di mafia. A tal proposito vi è anche una vasta epopea cinematografica.
Dicendo che la mafia, in ogni sua forma geografica, cerca sempre di avere referenti nella politica si scopre l’acqua calda; dicendo che la mafia cerca sempre di agganciare i partiti al potere, scopriamo l’aria calda.
Da Sciascia in giù tutti ne hanno parlato e la storia della repubblica è piena di martiri caduti proprio perché volevano scardinare questo rapporto.
L’atteggiamento di Saviano a riguardo è e resta saggistico – letterario.
Le mafie, al di là della reale presenza della scorta a difesa dell’incolumità dello scrittore, sono oggetto di studio bibliografico. Mi sarei aspettato, vista la triplice immagine del santo, del potente e dell’indifeso, qualcosa in più.
La politica lombarda fa affari con le mafie? Benissimo, fuori i nomi e i cognomi degli amministratori coinvolti.
Le mafie cercano sempre una sponda nella politica “che conta”?
Allora non è solo un problema legato alla “politica padana”, ma a tutti i partiti, di destra e di sinistra che “contano” ed amministrano. Anche dei partiti i cui leader sfilano allegramente a “vieni via con me” …
Fuori, quindi, i nomi dei collusi.
Ma così non è.
Le mafie, da tragedia nazionale, si riducono a spettacolo. Dotto, ma pur sempre spettacolo.
Se Falcone e Borsellino erano la prassi, Saviano è teologia pura.
Esattamente come il burlesque mima la sessualità senza mai farla vedere interamente, Saviano parla di mafia senza mai farle prendere corpo.
Da un punto di vista del marketing editoriale la cosa è più che comprensibile. Best sellers e trasmissioni televisive parlano ai più, alle masse; per parlare alle masse i dettagli devono essere il più possibile sfumati; ogni acquirente deve potersi identificare; le parole d’ordine superano, travalicano i concetti che, alla fine, sono un orpello inutile.
Anche qui Silvio Berlusconi fa scuola.
Non a caso “Vieni via con me” è una produzione Endemol.
In questo contesto dire “mafia cattiva” crea molta più audience e consenso di dire, ad esempio, “L’assessore XXX è colpevole di associazione mafiosa e concorso in omicidio. Posso produrre le prove a, b, c. Arrestatelo”.
Non è stato un caso se la notizia dell’arresto di Antono Iovine, superlatitante ed uno dei leaders di spicco del clan dei casalesi, è durata un paio di giorni, mentre Saviano ed il suo programma continuano la loro frenetica ascesa mediatica.
In verità tutto il programma si basa sull’idea della riduzione allo slogan e della supremazia della testimonianza sulla prassi. L’elenco, suo modus operandi, non svolge idee e concetti ma si limita a dare evidenze entro le quali ognuno di noi può riconoscersi. Si elenca tutto, testimoniando, religiosamente, il fatto di essere dalla parte giusta.
Come dire che non va bene l’elenco di Vendola (che nel suo piccolo ha fatto della medesima riduzione a parola d’ordine la linea guida della propria campagna per le primarie), come dire che non va bene l’elenco della Bonino … passa per buono anche quello di Fini …
Tutto diventa uguale a tutto.
Quel che funziona nel programma è proprio il sentire cose ovvie.
Molti dicono “era proprio ora che qualcuno lo dicesse …”: che dicesse cosa?
La formula del successo della trasmissione è nella capacità di non dire nulla di nuovo facendolo passare per evento rivoluzionario.
L’anestesia del salotto televisivo, che abbiamo già sperimentato con Vespa, passa a “Vieni via con me”, dove viene dipinta (quasi) di rosso e resa appetibile dal punto di vista del visual merchandising al variegato e pantofolaio popolo della sinistra che, vedendo eroi a buon mercato che sbucano gratis dallo schermo televisivo, per un attimo, crede di aver trovato una carica vitale. Quindi si agita, si indigna, per poi ricadere pesantemente nella propria poltrona. L’inganno funziona nella misura in cui il popolo della sinistra ha perso sia la memoria storica che la capacità di agire, preferendo delegare valori ed ideali piuttosto che viverli.
L’eroe, in genere, era una persona che abbandonava uno status di privilegio per l’incertezza della lotta. Che Guevara, ad esempio, poteva aprire una bellissima clinica a Buenos Aires e diventare un pioniere della chirurgia estetica. Ha preferito la guerriglia.
Francamente non so quanto guadagnino Saviano e Fazio, ma a me sembra che non stiano nella giungla dell’Angola. Essi sono ben allineati e coperti; sono parte dell’Italia che conta, quella che si chiama per nome, senza titoli, quella che sfida i ministri del governo dalla televisione di Stato (!), quella che ha la scorta, l’Italia che “può”.
Anche Che Guevara poteva, ma ha scelto di andare in Bolivia.
Intendiamoci, ognuno di noi ha il diritto di rendersi la vita accettabile come meglio crede.
Ognuno di noi, se vuole, ha il diritto di anestetizzarsi e di illudersi sul fatto che la televisione e la mediaticità possano essere una via d’uscita dall’Italia berlusconiana.
Ognuno di noi ha il diritto di credere alla befana.
Devo dirvi però, francamente, che non mi interessano le derive messianiche né le persone che delegano i propri valori ed ideali ai potenti.
Non voglio il consenso di coloro i quali sanno tutto, individuano le stesse criticità che individuo io, e pensano, in un delirio di furbizia, di poter “cavalcare” l’onda lunga di fenomeni comunicativi e mediatici come Saviano e Nichi Vendola; in genere queste persone non valgono neanche l’ orecchino del governatore della regione Puglia.
Mi perdonerete se il “cavalcare” politicamente, meglio conosciuto come “incularella alla romana” non è tra i miei interessi.
Io parlo, invece, a persone diverse, ad una sinistra che ha capacità di pensiero e che la manifesta. Ad una sinistra laica, non cattolica, non clericale. Io non chiedo, del resto, a nessuno di “fare i conti” con le mie opinioni in materia religiosa, che sono e che restano faccenda privata.
Io parlo ad una sinistra che vuole prendere in mano il proprio destino e che non ha bisogno di “eroi di carta”, né di tubi catodici per esistere.
Parlo ad una sinistra che non insegue Berlusconi sul suo stesso terreno e che, in prospettiva, lavora per un suo totale superamento.
A questa sinistra io chiedo di sostenermi nel mio sforzo.
 
Mario Michele Pascale – Candidato alle primarie nazionali del centrosinistra per il movimento “Libertà ed Eguaglianza”