“Manca la cultura del lavoro in sicurezza”

operai cantiereCIVITAVECCHIA – Poco più di tre anni fa, morivano, arsi vivi, i sette operai della Thyssen Krupp di Torino: una tragedia le cui fasi processuali sono destinate a lasciare una profonda traccia nell’impervio percorso della sicurezza sul lavoro.
I volti delle povere vittime si sono trasformati, nel tempo, in una icona del dramma delle morti sul lavoro; eppure non è servito da monito, perché di lavoro si continua a morire.
Sull’onda emotiva della strage di Torino, nell’aprile 2008 è stato varato il dlgs. 81, testo unico per la sicurezza, in attuazione della L. 123 del 2007: un impianto legislativo complesso, a tratti farraginoso, ma che introduceva comunque un elemento di interessante novità, l’inasprimento delle sanzioni.
Tiro prontamente corretto con il successivo decreto 106 che, per le pressioni di Confindustria, nell’agosto 2009 è intervenuto ad “addolcire” l’impianto sanzionatorio, non riuscendo tuttavia (almeno non ancora) a riportare tutto ad una totale deregolamentazione, così come più volte pubblicamente auspicato dai maggiori rappresentanti del governo.
Un quadro legislativo, dunque, esiste e resiste, ed è all’interno di questo che va inquadrata un’azione di prevenzione e tutela delle condizioni di lavoro, quanto meno a livelli di paese civile.
Nella quasi totalità dei casi riportati dalle cronache, le dinamiche degli incidenti, oltre a carenze di tipo strutturale e di dotazioni antinfortunistiche, denotano difetti di natura organizzativa e procedurale: la strumentale tendenza ad attribuire le responsabilità alla “distrazione” dei lavoratori, denuncia invece sistemi di lavoro caratterizzati, oltre che dall’obiettivo del massimo profitto ad ogni costo, dall’assenza di una corretta organizzazione del lavoro.
La mente va, ad esempio, alle cisterne assassine, o agli addetti alle pulizie uccisi dagli ascensori non in sicurezza, in cui è evidente la mancanza di un coordinamento tra le varie fasi di lavorazione; discorso valido per molti degli infortuni di cantiere.
In questo senso, la legge interviene in modo puntuale, dettando modalità e sistemi dai contorni anche rigidi, che vanno dalla generale valutazione dei rischi, alla regolamentazione dei rischi da interferenza per la sovrapposizione delle diverse lavorazioni, fino a giungere all’indicazione di precisi sistemi di gestione, che si basano su requisiti definiti dalle  linee guida SGSL UNI- INAIL o dalla norma BS OHSAS 18001/2007: supporti di sistema che intervengono ad implementare l’assetto procedurale ed a chiarire la filiera delle responsabilità.
Responsabilità di cui, non di rado, sono gli stessi protagonisti della sicurezza a non avere l’esatta portata: dai datori di lavoro agli RSPP (responsabili servizio prevenzione e protezione), dagli RLS (rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza, in tutte le loro articolazioni, in dipendenza delle organizzazioni) ai preposti (deputati a seguire i singoli procedimenti loro affidati e a sorvegliare l’attività lavorativa, sul cui ruolo, il testo unico, pone particolare rilievo).
Ruoli che acquistano il loro reale senso, soltanto se suffragati dagli obbligatori programmi di formazione ed informazione che debbono rispondere ai requisiti di legge, essere dinamici (cioè adeguati al mutare delle condizioni lavorative) e coinvolgere tutti i lavoratori interessati.
Nodo cruciale è costituito dalla rete dei controlli, che è e rimane del tutto insufficiente, per carenza di risorse e per l’assenza di una seria politica di programmazione.
Il cuore del problema è rappresentato dall’assenza di una cultura capace di trasmettere la reale essenza del lavoro in sicurezza, non quale mero obbligo, ma come risorsa e valido motore per una migliore e più efficace produzione.
Ma questo presupporrebbe che, chi si fregia di essere il motore industriale del paese, fosse in grado di indirizzare la propria azione verso l’intelligente ricerca di risultati per l’impresa, per i lavoratori, per il paese tutto: non piuttosto, come Pomigliano insegna, una compagine che si crogiola nella propria inconsistenza imprenditoriale, invasata dagli esclusivi obiettivi del profitto ad ogni costo e dell’abbattimento di ogni conquista dei lavoratori, sicurezza in testa.
In un tale contesto, non è peregrino temere ulteriori attacchi alla normativa vigente che, seppure con limiti oggettivi, rappresenta comunque un paletto normativo.
Come donne e uomini impegnati sul fronte della Sicurezza nel lavoro, e come compagne e compagni impegnati nella costruzione di un percorso unitario della Federazione della Sinistra, crediamo che la Federazione debba assumere un ruolo guida sulla questione Lavoro, in tutte le sue complesse articolazioni: lotta al precariato, sistema degli appalti, lavoro sicuro.
La proposta è la costituzione di una task-force per la sicurezza che, attraverso il vecchio e sempre efficace metodo dell’inchiesta, raccolga dati, analizzi situazioni, individui criticità, proponga soluzioni: non il classico tavolo di confronto, ma un vero e proprio comitato tecnico-scientifico, aperto al contributo di esperienze e competenze del settore, professionisti, lavoratori e loro rappresentanti.
Non casualmente, l’impegno prende l’avvio dal territorio di Civitavecchia, in cui i lavori di riconversione della centrale Enel continuano a produrre morti e sul quale insistono realtà complesse e ad alto rischio, come quella portuale.
La difesa dei diritti dei lavoratori: un buon punto di partenza per una sinistra unita che torna a lanciare la propria sfida sul terreno dei problemi concreti.

Lucia Bartolini e Francesco Costanzo – Operatori della sicurezza, militanti della Federazione della Sinistra