CIVITAVECCHIA – Guardando all’università italiana verrebbero da dire tante cose, troppe. Possiamo anche tacere, più che altro per imbarazzo, sul fatto che tra i primi cento atenei del mondo non ce ne sia uno italiano. Possiamo tacere sulle strutture; fatiscenti, pericolanti, indegne della formazione della futura classe dirigente del paese. Possiamo tacere, per ritegno, dei servizi offerti agli studenti; il Ruanda tratta meglio, molto meglio la propria futura classe dirigente. Possiamo tacere, sempre per imbarazzo, sulla scelta dei docenti. Scelti non perché siano bravi, sappiano quindi comunicare la loro conoscenza, ma perché gemmazioni della medesima scuola, barone dopo barone, figlio dopo padre, un figlioccio dopo l’altro.
Su due cose, però, non possiamo transigere: i diritti e l’etica.
Numero chiuso e rette universitarie alle stelle ci parlano di un’università, pagata con i soldi dello stato, quindi con il denaro di tutti, destinata solo alle élite economiche e sociali.
Il numero chiuso, oltre a tradire il diritto costituzionale al sapere, rappresenta un duplice fallimento. Anzitutto il fallimento dello stato, che non riesce a garantire le pari opportunità per i cittadini, negando ad alcuni la possibilità di poter accedere ad una facoltà e, quindi, ad una futura professione. Il secondo è il fallimento dell’università, che non riesce a svolgere la propria funzione formativa.
Certo, possiamo nasconderci dietro ad un dito e dire “troppi medici che rimarranno senza lavoro”; la verità è che l’università non può fare le veci del mercato; se un medico è bravo o meno lo decideranno i suoi pazienti. Se è proprio una capra lo possono decidere i suoi docenti sia in aula che durante il tirocinio. Per ambedue le cose lo studente, che quando si iscrive non è né un pessimo dottore né una capra, ma solo un giovane dotato di potenzialità, ha il pieno diritto di provare.
Inoltre, ammettere o meno qualcuno sulla base di un test di cultura generale (anche se “orientata” alle successive materie di studio) o in base al voto del diploma è addirittura risibile… molti ottimi psicoterapeuti ignorano le funzioni di secondo grado ed ottimi fisici nucleari non si ricorderanno mai la data della battaglia di Solferino; quanti dirigenti d’azienda, poi, si sono diplomati con un piccolo 36?
Non è così, di certo, che si misura il “merito” …
Persone che oggi ci fanno onore, con il sistema del numero chiuso, non sarebbero mai entrate all’università.
L’università, nell’immaginario collettivo, è legata a persone anziane, sapienti e con la barba bianca.
Si diventa davvero vecchi nella carriera universitaria che è, dopo il call center, il luogo per eccellenza del precariato, dell’incertezza e dello sfruttamento del lavoro.
Sapete voi che un docente “a contratto” viene pagato una miseria solo ed esclusivamente se, al termine dell’anno accademico, “avanzano” soldi?
Terribile. Semplicemente indegno di una nazione che fa parte del G8.
Provateci voi a chiamare un idraulico, farvi fare un preventivo, accettarlo, farlo lavorare e poi dirgli “Beh, i soldi un mese fa c’erano, ma poi ho avuto altre spese, sa com’è …”.
Questo mentre fondi che magari potrebbero essere adoperati per pagare i giovani talenti vengono usati per convegni in cui, magari, l’unica utilità scientifica è quella di contare i peli spuntati sul deretano di Martin Heidegger tra l’aprile 1935 ed il gennaio 1937.
Semplicemente ignobile.
L’università va potenziata, anche da un punto di vista economico, ma gli sforzi vanno indirizzati verso un’università nuova che andrebbe ricostruita, da un lato, dal punto di vista dello studente, della sua formazione e del servizio offerto e, dall’altro, dal punto di vista dell’utilità sociale della ricerca.
Come si esce da questa situazione?
Anche nel settore dell’Università io ho le mie proposte concrete, che possono diventare leggi dello stato: Abolizione, per via legislativa, del numero chiuso, sotto qualsiasi forma e rappresentazione.
I giovani docenti dovranno ricevere un contratto a tempo determinato con un minimo salariale ben definito, quantificabile in almeno 20.000 euro annui. Denaro che deve essere reale e non virtuale.
Separazione delle carriere tra ricercatori e docenti. I ricercatori vengono pagati, appunto, per ricercare; i docenti vengono scelti in base alle loro capacità di insegnamento. Si tratta di due abilità molto diverse; non sempre chi è sapiente ha la capacità di trasmettere le proprie incredibili scoperte agli altri.
Infine, ma non meno importante, c’è un’altra proposta. Ogni studente che entra nell’università riceve un “assegno di studio”, che copre la retta universitaria e le prime necessità vitali. Lo studente ridarà ratealmente il capitale fornito a partire dalla sua prima busta paga. Allo stato attuale, molto penosamente, la possibilità di studiare è legata al portafoglio di mamma e papà. Chi non ha genitori abbienti o semplicemente non ha buoni rapporti con i propri genitori è irrimediabilmente tagliato fuori dalla possibilità di avere un futuro migliore. I fondi per questa operazione possono essere reperiti tagliando le spese militari.
Anche oggi potevo stupirvi con effetti speciali. Ho preferito proposte concrete sulle quali io continuerò ad impegnarmi. Alle primarie del centrosinistra votate per me, Mario Michele Pascale.
Mario Michele Pascale – Candidato alle primarie nazionali del centrosinistra del movimento “Libertà ed Eguaglianza”