CIVITAVECCHIA – Vi voglio rubare solo tre minuti del vostro prezioso tempo per raccontarvi la mia disgraziata avventura: mi chiamo Paolo Cadoli, ho quarantanni, vivo a Civitavecchia, ho una bella famiglia ed un buon lavoro, ma un giorno la mia vita è cambiata ed ora vi spiego perchè: il 12 gennaio 2010 ero a sciare con mia moglie e mio figlio. Alle 7.45 ricevo una telefonata, è mio fratello, che tra le lacrime ed i singhiozzi mi dice “Paolo devi tornare subito, mamma sta male, sta molto male… forse non ce la fa’… Paolo mamma e’ morta”!!! Sul momento non capisco, forse vorrei non aver capito, balbetto qualcosa di incomprensibile a mia moglie e scoppio in un pianto a dirotto. I momenti seguenti sono frenetici, nervosi, se possibile ancora più drammatici. Richiamo più volte casa cercando di capire meglio cosa è successo, il tutto nel più assoluto panico. Cerco di non far capire cosa sia successo a mio figlio Mattia, che va tutto bene, nonostante le lacrime ed l’evidente stato di shock e il nervosismo che non mi appartiene. Lui capisce la situazione, i bambini capiscono sempre tutto, mi vede seduto in terra con la testa tra le mani, mi viene vicino e stringendomi forte mi sussurra all’orecchio “non preoccuparti papà, ci sono io qui’”!!!
Durante il viaggio di ritorno riesco finalmente a sapere cosa è successo: mia mamma, Rita Matiz, ha avuto uno shock anafilattico provocatole dall’assunzione di un farmaco, il Dicoflenac, alla quale era allergica e che le era stato prescritto dal medico curante, che l’ha portata al decesso in pochi minuti.
La rabbia sale e il viaggio di ritorno sembra non finire più, sembra di vivere un incubo dal quale vorrei svegliarmi al più presto… ma non è così.
Nel primo pomeriggio arrivo a casa, mio papà siede in un angolo, è incredulo, una maschera il suo volto. Mio fratello Amedeo ha ancora gli occhi gonfi, prova a farmi capire meglio cosa è successo. Mia mamma non c’è, l’hanno già portata via, in attesa dell’autopsia.
Mi raccontano delle fasi concitate di una mattina tragica, dell’arrivo immediato dei soccorsi, degli sforzi fatti dai ragazzi della Crocerossa nel tentativo di rianimare mia madre davanti agli sguardi atterriti dei miei familiari, e del loro consiglio di chiamare la polizia perchè la dinamica appare subito chiara; e del susseguente arrivo del medico di famiglia e del suo immediato assumersi le responsabilità sull’accaduto.
Mi gira la testa, non riesco a calmarmi, continuo a piangere e a fumare. In casa regna ora una calma assurda. Cerco di star vicino a mio papà. Ho paura che crolli da un momento all’altro… sessant’anni insieme ad una persona e poi te la strappano via così senza nemmeno avere la possibilità di dirgli ciao un’ultima volta… e avendo ancora negli occhi solo la sua agonia sul pavimento e la sua triste fine.
Passa un anno e mezzo e dopo le indagini della procura, l’autopsia e le varie perizie mediche disposte dal giudice (alcune naturalmente a spese nostre), la onesta collaborazione del medico che, come ho già detto, si e’ subito addossato tutte le responsabilita’ avviando immediatamente la pratica di risarcimento alla sua assicurazione professionale, la navale assicurazioni (e permettetemi di aggiungere “ci mancherebbe altro”), si è arrivati al giorno del processo: il medico, incriminato per omicidio colposo, patteggia una pena di un anno e otto mesi, mi spiegano che è il massimo che gli si potesse dare e che dovrei essere soddisfatto… mentre ascolto la sentenza invece mi viene in mente Robespierre e la sua ghigliottina, in quel momento l’unica pena che vorrei avesse chi ha assassinato mia mamma. Accetto comunque il verdetto di un sistema giudiziario garantista che favorisce i colpevoli con riduzioni di pena, che da modo agli avvocati di usufruire di cavilli che portano a sospensioni e rinvii, e che soprattutto permette ad un uomo che e’ stato condannato ad un anno e otto mesi per omicidio colposo di non fare nemmeno un giorno di carcere, e che addirittura riprende normalmente il suo posto di lavoro nel suo bello studio medico in centro. Ma non e’ finita qui.
Passano i giorni, i mesi, gli anni, dell’assicurazione nessuna traccia. In venti mesi non siamo mai, e sottolineo mai, riusciti a parlare con qualche funzionario o dirigente della navale assicurazioni. Niente di niente. Solo contatti brevi e pure stizziti da parte loro, con operatori che con scuse di tutti i tipi ci rimbalzavano da un telefono all’altro, da un ufficio all’altro, che continuavano a ripeterci che i sig. Tizio oggi non c’è, ma può trovarlo domani e l’indomani la stessa solfa. E questo per giorni per settimane, per 21 mesi. Ad un certo punto mi è venuto in mente il Michael Douglas di “Un giorno di ordinaria follia”, che nella sua lucida follia riteneva la sua mazza da baseball l’unico modo per ricevere attenzione e rispetto, in un mondo dove sempre più i deboli sono ignorati.
Ma mi ritengo una persona civile, in un mondo che di civile ha ben poco. Perciò continuo la mia battaglia telefonica, ma ancora oggi niente. Secondo la legge le assicurazioni sono tenute ha pagare il risarcimento per gli incidenti stradali entro i 90 giorni data accettazione proposta,per casi come il nostro non esiste legislazione che determini la tempistica per il risarcimento. Ma non finisce qui.
Finito il procedimento penale, e visto il persistente silenzio da parte dell’assicurazione, decidiamo di andare in causa civile. E qui cominciamo a prendere famigliarità con il nuovo istituto della “mediazione”, obbligatorio per legge nel nostro caso, inventato da non so chi, per snellire il sistema giudiziario. Domandandomi cosa e perchè io e la mia famiglia dovremmo mediare, visto che già il giudizio penale ci ha dato ragione e che esistono delle tabelle ministeriali per il risarcimento, iniziamo l’iter della “mediazione”, pagando in anticipo una cifra vicina alle € 2500,00, ma sempre fiduciosi che in questa maniere i tempi saranno ristretti.
Poi però veniamo a sapere che ne il medico, ne l’assicurazione parteciperanno a questo “meraviglioso” istituto, poichè non intendo versare soldi in più, oltre a quelli che ci dovranno in seguito, per prendere parte ad un atto che a loro non porta alcun beneficio.
Mi chiedo se questa assenza da un atto, obbligatorio per legge, porterà a qualcosa di sanzionatorio per le parti che non intendono prendervi parte: niente di niente. Allucinante!
Non riesco a credere a tutto ciò, mi viene da pensare che esista un legame tra i tribunali, il sistema giudiziario e le assicurazioni, dove la legge viene violata in maniera sostanziale, dove i tempi vengono allungati per favorire proprio le assicurazioni, allontanando i risarcimenti, o riducendoli con proposte miserevoli, contando sul fatto che le famiglie oggi stanno vivendo un periodo di crisi e si accontentano di avere, ma subito, solo una piccola parte di quello a cui avrebbero diritto.
Fortunatamente la mia famiglia gode di un buono stato economico. Proprio per questo voglio denunciare il fatto che stanno provando a farci abbassare la testa, ad esasperarci con i loro silenzi. Non ci piegheremo mai, anzi alzeremo la voce.
Questo per mia mamma. Per la mia famiglia, per mio figlio Mattia che quando guarda il cielo di notte indica la stella più luminosa e dice “quella lassù è nonna Rita”!!!
La vergogna più grande è che nell’Italia di oggi siamo costretti ad usare come mezzo di difesa dai soprusi lettere di denuncia inviate, non agli organi preposti, ma ai media.
Noi vogliamo solo che vengano rispettati i nostri diritti. Noi vogliamo giustizia.
Paolo Cadoli