CIVITAVECCHIA – Dopo il terribile crollo di Barletta, si è aperto una sorta di surreale dibattito, se la tragedia sia da attribuire alla negligente indifferenza amministrativa o piuttosto vada inquadrata nell’ambito degli incidenti sul lavoro: quasi che l’una cosa sia scollegata dall’altra o possa addirittura costituire un alleggerimento di responsabilità per chi non ha compiuto il proprio dovere, stroncando la vita di quattro donne e di una ragazzina di 14 anni.
Uccidendo due volte, nel fisico prima, nel diritto alla dignità di un lavoro tutelato, poi.
Le responsabilità, o meglio, le vere e proprie colpe, di chi ha eseguito ed autorizzato lavori alla cieca, saranno ora oggetto di indagine da parte delle autorità competenti; quelle stesse che, magari qualche volta, ci piacerebbe vedere all’opera in maniera preventiva, non a triste consuntivo di tragedie consumate.
Ma il nodo centrale dell’inchiesta è rappresentato dalla condizione lavorativa delle povere protagoniste di questa vicenda, “invisibili” per il mondo del lavoro riconosciuto dall’ordine costituito.
Recita l’art. 2087 del Codice Civile: “L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”.
Un principio già di per sé vincolante, reso operativo da una legislazione, a tratti carente e mossa dall’onda emotiva della strage di turno, corretta e ammorbidita in particolare nel sistema sanzionatorio, ma comunque esistente: dalla 626 al Dlgs. 81/2008, così come modificato dal Dlgs. 106/2009, il Testo Unico per la Sicurezza sul Lavoro regola l’intera materia.
Il datore di lavoro ha l’obbligo di valutare i rischi presenti nel luogo di lavoro, di vigilare sul mantenimento delle condizioni di sicurezza dei lavoratori, di ….. informare il più presto possibile i lavoratori esposti al rischio di un pericolo grave e immediato circa il rischio e le disposizioni prese o da prendere in materia di protezione, ….. astenersi… dal richiedere ai lavoratori di riprendere la loro attività in una situazione di lavoro in cui persiste un pericolo grave e immediato…
Ma ancora, precise disposizioni sono contenute sulle misure di coordinamento per la gestione dei rischi specifici e di quelli derivanti dalle possibili interferenze tra gli esecutori dei lavori e tutti i soggetti che, a diverso titolo, possono avere un coinvolgimento nei luoghi interessati dalle attività lavorative.
Così come sono precisamente individuati gli adempimenti, e conseguentemente le responsabilità, del committente, dell’appaltatore, dell’eventuale subappaltatore, del direttore dei lavori, del progettista, di chi ha approvato il progetto: giungendo qui al punto di intersezione tra la mancata tutela e prevenzione nel luogo di lavoro e la responsabilità amministrativa, la cui esistenza pare acclarata.
Ma tutto questo non è stato applicato, non poteva essere applicato, perché quel luogo di lavoro era invisibile, quelle lavoratrici erano invisibili; per tragico paradosso, la loro esistenza come soggetti attivi e presenti nel mondo del lavoro è emersa soltanto al momento della loro morte.
Le vittime di Barletta sono omicidi, non bianchi, omicidi e basta, esattamente come i morti bruciati della Thyssen, o quelli asfissiati della Saras, o quelli di cui, con triste consuetudine, si ha notizia dalla stampa, nell’intero territorio nazionale; il risultato di un sistema teso a delegittimare ogni diritto e garanzia per le condizioni dei lavoratori, che arriva a contrapporre il sacrosanto diritto al lavoro ed al sostentamento proprio e della propria famiglia, con quello, primario, alla vita.
Una logica perversa, tipica dell’organizzazione capitalistica del lavoro, che deve essere ribaltata, riportando al centro il “lavoro dei diritti”.
Contraddizioni vecchie e nuove, all’origine dei mali dell’intero pianeta ed a cui un fronte internazionale sempre più ampio si sta opponendo, sono i temi centrali della manifestazione del 15 ottobre, per riaffermare che siamo indignati e determinati a non pagare il loro debito con le nostre vite.
Perché la crisi non può essere scaricata sui lavoratori e sui giovani. E sulle donne, come a Barletta.
Lucia Bartolini