CIVITAVECCHIA – A proposito di portualità, dal momento che in queste ultime settimane il tema è stato oggetto di un vivace dibattito cittadino volevo inserirmi nella discussione con alcune valutazioni.
In via preliminare si deve avere l’onestà intellettuale ed il coraggio di riconoscere che, in relazione agli enormi flussi di finanziamento impegnati nelle strutture portuali, alla notevole dimensione delle aree poste a disposizione, alla presenza di un organismo di governo, orientamento e promozione quale l’Autorità portuale, i risultati in termini occupazionali, di sviluppo e miglioramento delle condizioni complessive della città sono deludenti. Ciò è bene che sia alla attenzione di coloro che, con troppa precipitazione, hanno tessuto e cantato lodi assolutamente ingiustificate nei confronti di chi, avendo a disposizione risorse imponenti, non le ha sfruttate nel modo migliore: solo per dare una interpretazione generosa di un “modus operandi”che la storia potrà giudicare con maggiori argomenti. Per ora ciò che appare più utile è prendere atto di una realtà e guardare al futuro. Si è ritenuto, con eccesso di arroganza, che una presunta modernità avesse come incarico precipuo quello di spazzare via la storia e la tradizione ed ancora , perseverando nell’arroganza, si è narrata la fiaba di una comunità arretrata, ignorante ed avversa ad ogni ipotesi di sviluppo. Partiamo dalla verità storica: questa parla di una città che ha avuto sempre assoluta consapevolezza del ruolo strategico del Porto.
Civitavecchia sente di essere, sino nel profondo delle proprie viscere, città portuale. Il Porto non ha solo rappresentato lavoro e prospettiva di benessere ma ha anche permeato la cultura e persino alcuni caratteri identitari della comunità.
Per questa ragione le grandi lotte operaie, a partire dalla metà del ‘900, condotte spesso assieme alle istituzioni locali, hanno avuto sempre al centro il tema del Porto e del suo sviluppo. Le grandi ed essenziali direttrici erano state individuate con intelligenza e, quelle, portarono alla stesura ed alla approvazione di un Piano Regolatore Generale del Porto, senza il quale non si sarebbero potute apportare le successive modifiche e senza il quale non sarebbero pervenuti i finanziamenti che hanno dato il via alla crescita: una grande crescita purtroppo, come detto, povera di sviluppo. Si era colto che, per la dimensione del porto di Civitavecchia, per la sua posizione geografica, per la sua storia, per le vocazioni economiche del suo territorio, era necessario che venisse tenuto in equilibrio il peso delle tre componenti fondamentali di traffico: persone,merci prodotti energetici. Uno squilibrio avrebbe prodotti guasti forse superiori ai benefici. Così era evidente che il Porto avrebbe dovuto godere di infrastrutture viarie e ferroviarie efficienti. Si indicava Orte e Terni, per un collegamento con l’Adriatico e con le grandi arterie viarie; migliori collegamenti con Livorno e Roma capitale. Questi temi elaborati da una comunità “barbara,vecchia ed ignorante” sono di stringente attualità. Sono le questioni con le quali il Porto deve fare i conti in un contesto giuridico,sociale,economico e culturale profondamente cambiato. Non si tratta dunque di cancellare la storia ma semmai partire da essa e far tesoro dei suoi insegnamenti. Partire da essa e non, come si è provato a fare, diffondere la falsa idea che si dava inizio ad un opera priva di fondamenta. Il Porto del XXI° sec si trova collocato in una dimensione diversa dal passato. E’ all’interno di una Autorità portuale che guida un sistema composto da Civitavecchia, Gaeta e Fiumicino. Questa nuova dimensione deve divenire una occasione di sviluppo. Deve essere valorizzata e sfruttata, sul piano internazionale, l’opportunità di poter vendere servizi portuali su una piattaforma di sistema che circonda Roma ed il suo hinterland e che si rapporta in maniera stretta con l’aeroporto di Fiumicino. Ciò ha assoluta necessità che si determini in un clima di intensa collaborazione istituzionale, a partire dal Comune di Civitavecchia e dall’Autorità portuale. Che si realizzi e si costruisca con la partecipazione dei principali attori istituzionali e sociali, quello che è stato definito un Piano strategico portuale-locale. Si deve rilanciare il settore merceologico nel Porto: non si deve lasciare isolata l’ottima esperienza del Terminal Frutta. Si deve tornare a spingere per la realizzazione delle infrastrutture viarie. Si deve pensare ad un piano che renda compatibile il Porto con l’ambiente. Abbandonare ulteriori progetti di crescita senza sviluppo. Si deve tutelare ciò che rimane della costa, ed in particolare l’area pregiata della Frasca. Si debbono elettrificare le banchine ed immaginare un Porto che si apra per intero alle nuove tecnologie informatiche. C’è molto da fare sull’esistente, piuttosto che pensare a nuovi terminal, come li si voglia chiamare! Si deve recuperare alla città il porto storico perchè i cittadini si riapproprino di spazi per il tempo libero e per piccole attività artigianali e commerciali. A questo proposito vale ricordare ai “modernisti” che anche l’abbattimento dei Sili è da ascrivere, non dispiaccia, alle antiche e fruttuose battaglie dei “barbari indigeni”. Sarebbe utile riportare all’ordine del giorno il progetto di realizzazione di un bacino di carenaggio, (in questo senso non mancano le risorse professionali ed imprenditoriali) che potrebbe anche rappresentare una risposta alla disoccupazione di ritorno per effetto del termine dei lavori di riconversione della centrale di Tvn. Sarebbe inoltre opportuno che si ricercassero le forme più adeguate per indirizzare risorse (ad es. attraverso forme di fiscalità da applicare ai croceristi in transito) perchè possano migliorare i servizi di accoglienza della città! Inoltre si dovrebbe tornare a riproporre il tema di una presenza pubblica nei traffici con la Sardegna.
Evidentemente queste idee non sono assolutamente originali. Diversamente da come si è ritenuto nel recente passato questa comunità ha una percezione del proprio futuro, maturata nel tempo e nel confronto collettivo. Per finire non è casuale che queste idee e suggestioni siano recepite dal programma di governo della città del centro sinistra. Ciò conferma che non si è tutti uguali e che non è sufficiente dire che si vuol fare ma dire cosa si vuol fare e nell’interesse di chi. Non si tratta di inventare chissà quali soluzioni; si tratta di operare e collaborare onestamente nell’interesse del bene comune.
Piero Alessi