Omega tre: gli amici del cuore

Negli ultimi decenni i grassi si sono guadagnati una cattiva reputazione, tanto che è ormai diffusa l’idea che essi facciano ingrassare, siano dannosi per la salute e che evitarli sia meglio. Saturi, polinsaturi, monoinsaturi, trans e idrogenati: a prescindere dalla tipologia e qualità questi acidi grassi vengono spesso confusi e additati tutti come nocivi; anche se questa opinione negativa per alcuni di essi è del tutto meritata, come per alcuni di origine animale o i grassi trans, esistono grassi di ottima qualità che svolgono un ruolo essenziale per il corretto funzionamento dell’organismo.
Tra i grassi “buoni” spicca la famiglia degli acidi grassi polinsaturi omega-3 ed omega-6, importanti componenti delle membrane cellulari e precursori di altre sostanze, come quelle coinvolte nella regolazione della pressione sanguigna e nella risposta infiammatoria. Il corpo umano è capace di produrre tutti gli acidi grassi necessari eccetto due:l’acido linoleico (LA), capostipite della famiglia degli omega-6, e l’acido alfa-linolenico (LNA), capostipite della famiglia degli omega-3. Questi grassi sono definiti “essenziali” perché devono necessariamente essere apportati dalla dieta, dato che l’organismo non può fabbricarli da solo; entrambi sono fondamentali per la crescita e guarigione dei tessuti, ma possono anche essere utilizzati per la produzione di altri acidi grassi. Ad esempio, dall’acido alfa-linolenico possono essere sintetizzati due altri acidi grassi, ossia l’acido eicosapentanoico(EPA), e il docosaesanoico (DHA), detti semi essenziali poiché possono sia essere ricavati dalla dieta sia essere prodotti dal nostro organismo.
Sia gli omega-6 che gli omega-3 devono essere presenti nelle giuste quantità in ogni regime alimentare.
Per gli omega-6 tale esigenza non costituisce un problema perché sono presenti in grandi quantità in molti alimenti della nostra dieta (carne,uova, verdure e diversi vegetali) che forniscono quantità sufficienti di acido linoleico. Gli omega-3 sono contenuti in alcuni pesci “grassi” come salmone, tonno, sgombro, sardine, e in fonti vegetali come soia, semi di lino e noci. Un adeguato apporto di questi ultimi sembra però essere molto più difficile da ottenere al giorno d’oggi.
Infatti, nel corpo umano LA e ALA sono in competizione in quanto metabolizzati dallo stesso enzima, un delta-6 desaturasi. Questo aspetto è da tenere in considerazione per la salute poiché un’eccessiva assunzione di LA potrebbe ridurre la quantità di enzima disponibile per il metabolismo di ALA, con il conseguente aumento di rischio di malattie cardiache. Dati a sostegno di questa teoria mostrano che, negli ultimi 150 anni, l’apporto di omega-6 è aumentato mentre quello di omega-3 è parallelamente diminuito, con aumento di patologie cardiache. Da qui deriva l’attenzione per un rapporto “ideale” tra omega-6/-3, che dovrebbe essere di circa 5:1, mentre attualmente, soprattutto nei paesi occidentali, è stimato intorno a 20:1. La conseguenza negativa di tale squilibrio risiede nel fatto che l’organismo, in caso di eccesso di omega sei, utilizza questi grassi per fabbricare molecole che contribuiscono all’infiammazione, mentre gli omega-3 hanno funzione antinfiammatoria e protettiva.
Il primo indizio sui potenziali effetti benefici di un’alimentazione ricca di omega-3 deriva da alcuni studi condotti più di 50 anni fa su popolazioni di Inuit della Groenlandia. Paradossalmente, malgrado un regime alimentare ricco di carne grassa (foca, balena) e quasi priva di frutta e verdura, gli inuit erano in gran parte risparmiati da malattie cardiovascolari. La ragione di questa protezione non aveva a che fare con la genetica, in quanto, una volta emigrati, diventavano anch’essi soggetti a queste malattie; ciò che li proteggeva era piuttosto l’eccezionale contenuto di acidi grassi omega-3 provenienti dai prodotti marini di cui è ricca la loro alimentazione. Infatti, i pesci ricchi di grassi di cui abbondava la loro dieta sono fonti di LNA, EPA e DHA. Questi pesci sintetizzano tali acidi grassi a partire dall’acido alfa- linolenico, presente in grandi quantità nel fitoplancton di cui si nutrono.
L’importanza di integrare l’alimentazione con cibi ricchi di omega-3 è legata ai loro effetti benefici sulle malattie cardiovascolari e cronico degenerative.
Questi grassi sono componenti fondamentali delle membrane cellulari e sovrintendono a tutte le funzioni che in essa si svolgono, mantenendone l’integrità e l’ossigenazione.
Molto importante la funzione protettiva che esercitano sul cuore, riducendo il rischio di formazione di placche aterosclerosi che, di infarti e aritmie. Infatti, regolano l’aggregazione delle piastrine rendendo il sangue più fluido, riducono la sintesi ad opera del fegato delle VLDL (le lipoproteine che inglobano trigliceridi e colesterolo per il trasporto nel sangue) e l’ossidazione delle LDL (lipoproteine ricche di colesterolo), stabilizzano il ritmo cardiaco e, inoltre, migliorano gli stati infiammatori in quanto diminuiscono la concentrazione nel sangue di proteina C reattiva e di interleuchina le proteine responsabili dell’infiammazione.
A livello nervoso gli omega-3 sono presenti nei fotorecettori e nelle membrane sinaptiche proteggendo funzioni come la vista, la memoria, il fisiologico invecchiamento e influendo positivamente in patologie quali l’Alzheimer, il morbo di Parkinson,la degenerazione maculare e altre patologie cerebrali.
Infine, agiscono preservando la struttura a livello neuronale con effetti positivi sul declino cognitivo legato all’età.
Gli effetti benefici degli omega-3 sembrano avere riscontro positivo anche nella prevenzione di neoplasie. I meccanismi coinvolti in questo effetto protettivo potrebbero essere legati ad una riduzione della produzione di molecole infiammatorie che alterano il sistema immunitario e favoriscono lo sviluppo del tumore, oltre ad un effetto diretto sulle cellule tumorali, modificando la capacità di queste cellule di sfuggire alla morte “programmata” e impedendo lo sviluppo di nuovi vasi sanguigni essenziali alla loro crescita.
Per aumentare l’apporto questi acidi grassi bisognerebbe consumare due volte a settimana pesce grasso, che contiene grandi quantità di DHA ed EPA già sintetizzati e pronti per essere utilizzati dalle nostre cellule. Per i vegetariani che non consumano pesce, l’assunzione di omega-3 non rappresenta un problema.
Nel mondo vegetale, infatti, ci sono buone fonti di acido alfa-linolenico, ma non di acidi grassi semiessenziali. Essendo dunque le diete vegetariane prive di fonti attive di EPA e DHA, fatta eccezione per il piccolo contributo fornito dalle alghe, il consumo di acido alfa-linolenico, loro precursore, diventa indispensabile per poter poi essere convertito in tali acidi grassi semiessenziali.
Le associazioni di medici e ricercatori che si occupano di nutrizione vegetariana raccomandano di assumere 4-6 g di acido LNA al giorno, una quantità che si trova in 2 cucchiaini di olio di semi di lino spremuto a freddo oppure 6 cucchiaini di olio di semi di soia oppure 60 gr di noci sgusciate. Alcuni studi suggeriscono un’efficienza di conversione in acidi grassi omega-3 a lunga catena significativamente maggiore nei vegetariani/vegani rispetto a coloro che consumano pesce. Infatti, i livelli di EPA e DHA nei vegetariani sono risultati pressoché identici a chi consuma frequentemente pesce, anche se l’introduzione di omega-3 attraverso la dieta era minore del 57-80%.
Nonostante questo, gli esperti di nutrizione vegetariana suggeriscono una serie di accorgimenti per massimizzare l’introito di omega-3, tra cui limitare il consumo di grassi saturi e idrogenati, eccessivamente ricchi di omega-6, e privilegiare l’olio extravergine di oliva come fonte principale di lipidi in virtù del suo buon rapporto tra omega-3/-6 e dei composti fenolici antiossidanti che contrastano l’infiammazione.

Alessandra Stella