CIVITAVECCHIA – Penso ai tanti della mia generazione che hanno realizzato esperienze di militanza politica inseguendo ideali e valori. Si è immaginato e praticato il confronto politico, talvolta anche aspro, quale strumento per la costruzione di un mondo migliore. La chimera della felicità per tutti era una meta verso la quale si è guardato con ingenua speranza. Tempo di vita, spazi personali, legittime ambizioni ed aspirazioni: tutto ciò sacrificato per obiettivi più elevati. Anche la semplice ed esclusiva partecipazione al voto non era una funzione priva di grande coinvolgimento passionale e di conseguenze. Si trattava di una scelta impegnativa e come tale entrava nel vissuto quotidiano delle persone. Di questo sangue, nello scorso secolo, si sono nutriti i partiti che hanno costruito il nostro sistema democratico e il più ampio panorama continentale, nel quale viviamo, che ci permette di godere di una pace e di condizioni economiche, sia pure segnate da squilibri e diseguaglianze intollerabili, che non sono purtroppo prerogative indiscusse dell’intero pianeta. In questo contesto mi permetto di aggiungere che le battaglie dei movimenti di orientamento progressista hanno sensibilmente contribuito ad una crescita civile e sociale imponente. Questo patrimonio inestimabile, da anni, è insidiato. E’ corrotto alle radici da un totale ribaltamento delle priorità. Sempre più di frequente non è la ricerca del benessere collettivo, nell’ambito del quale si può realizzare anche la propria soddisfazione, ma prevale il perseguimento di fini meramente personali nel disprezzo di quelli generali. Evidentemente lo spettacolo indecoroso e ignobile che molti rappresentanti delle istituzioni e della politica, e non solo, hanno dato e danno spinge a una rivolta delle coscienze che rischia , come spesso è avvenuto tragicamente nella storia, di non aiutare lo sguardo a cogliere l’insieme dei fattori inducendo ad analisi superficiali. Il rischio è quello di bruciare, con l’aiuto di un vento di antipolitica e di squallido populismo, la stessa casa che con enormi sacrifici si è costruita. Riparare crepe è una cosa ; abbattere pareti portanti è un’altra cosa. Una analisi più attenta ed impietosa dovrebbe mostrare un Paese che negli anni è cambiato. E’ innegabile che molti politici, di vario orientamento, siano coinvolti in fatti corruttivi quando non addirittura collusi con la criminalità. Ma è altrettanto vero, purtroppo, che spesso quegli stessi politici sono divenuti potenti sulla base di una spinta popolare e che, troppo spesso, gli stessi cittadini, rapidi ad elevare ghigliottine nelle piazze, siano particolarmente attratti dalle sirene del malaffare e comunque con i loro voti spingano non i migliori ma i più sensibili a concedere ciò che in punta di diritto non sarebbe lecito neanche promettere. La politica deve riformarsi ed in particolare deve farlo chi vuole rappresentare le istanze dei più deboli. Sono loro, più di altri,che hanno necessità di punti di riferimento forti. Le avventure sono un rischio che possono permettersi solo le classi più agiate. Vi è necessità di regole certe ma non vi è dubbio che se non saranno sostenute, con comportamenti ineccepibili e positivi processi culturali nel profondo del tessuto sociale, i tentativi della politica di riformarsi saranno destinati al fallimento. Un eventuale e non auspicabile fallimento non sarebbe a carico del ceto politico ma dell’intero sistema al quale verrebbe a mancare un meccanismo insostituibile di funzionamento della democrazia. Le proposte, che ritengono di interpretare il malessere popolare,di cui si fanno portatori movimenti emergenti, ma non nuovi, sono velleitarie e confuse. Parlare di una non meglio precisata forma di democrazia diretta che dovrebbe sostituire la ben più sperimentata democrazia rappresentativa è solo un bla-bla-bla televisivo e mediatico privo di concretezza. Siamo ad un punto di svolta per la tenuta sociale, economica e democratica del Paese. Per ragioni interne ed internazionali Ciò che riserva il futuro è nel senso di responsabilità che il sistema dimostrerà o meno di avere. Riformare, rinnovare, ricostruire regole, allontanare il malaffare e la corruzione dalle istituzioni e dalla politica. Questi impegni non appartengono nello specifico a qualcuno ma all’intero popolo, nella sua complessa organizzazione sociale. Rappresentano il terreno sul quale si deciderà se lo sviluppo in Italia potrà ripartire; se daremo un sostanziale contributo per spingere avanti il processo di creazione di una Europa dei popoli; se manterremo la caratteristica di un Paese tollerante, ospitale e solidale. La speranza, per concludere, non è nel rifiuto tout-court della politica; in una sorta di astensionismo militante, parente all’indifferenza; meno che mai nel cedimento alla demagogia,alla retorica e al ribellismo. Occorre ripartire dalla buona politica che è impegno collettivo, confronto leale di idee tra loro alternative, ricerca di buone intese e consapevolezza della complessità.
Sapremo fare tutto questo e sapremo farlo a partire dalla nostra città?
Piero Alessi







