Da Tolfa alla prigionia in Iran: la drammatica storia di Keywan Karimi

CIVITAVECCHIA – Sembra impossibile che ci siano ancora paesi in cui viene condannata la libertà di espressione, in cui si viene arrestati per “propagata contro il sistema” , in cui, contro le leggi internazionali, si viene ancora condannati a 223 frustate, eppure succede ancora in paesi come l’Iran. Il regista iraniano Keywan Karimi è stato condannato il 13 Ottobre 2015 a sei anni di detenzione e a 223 frustate; arrestato con l’accusa di “propaganda contro il sistema” è stato condannato per “offesa alla sacralità islamica” e “relazioni illecite”. Dopo essere ricorso in appello, Domenica 21 febbraio 2016 gli è stata notificata la sentenza definitiva: la Corte d’appello di Teheran ha ridotto la pena ad un solo anno di carcere, mantenendo le 223 frustate e inserendo il pagamento di 20 milioni di rial (che corrispondono a poco meno di 600 euro).

Keywan Karimi partecipò nel 2012 al Tolfa Short Film Festival aprendo il suo cuore e toccandone tanti altri, che ora si battono per lui, che ora si battono per ottenere un vero processo e una vera giustizia. “Per me Keywan è il giovane uomo dal sorriso aperto conosciuto in un pomeriggio nuvolo a Tolfa”, ci dice Tina Coppola, attivista dei diritti umani, Amnesty International Gruppo Italia 240. “E’ l’entusiasmo dei progetti artistici, la determinazione nel registrare la vita delle persone al di là del racconto compiacente del potere e dei media. In questi giorni, poi, lo sto conoscendo anche come uomo coerente e coraggioso: lo guardo con ammirazione”. Ed è proprio questo che sta dimostrando Karimi: il coraggio coerente di un uomo che crede profondamente in ciò che fa, che lotta per far emergere le piccole e grandi verità di un paese oppresso. “Keywan è un regista di talento, intelligente, acuto, con l’urgenza di raccontare per aiutarci a comprendere”, ci spiega Costanza Saccarelli, ex Direttrice dell’International Tour Film Festival. “Con pulizia e onestà intellettuale affronta diversi temi della società odierna iraniana attraverso scelte registiche funzionali alla narrazione, senza presunzione, con il gusto di un regista moderno che conosce l’estetica classica. La sua passione per il cinema è quella dei grandi, di chi non pensa al budget o all’audience: il risultato è un impatto potente ed emozionante. L’unica cosa che vuole è fare cinema”.
Il processo di Karimi si è sempre tenuto in tempi troppo brevi, con evidenti modalità illecite: non solo dopo il suo arresto Keywan è stato tenuto in isolamento senza accuse e senza la possibilità di contattare un avvocato, ma anche le udienze non hanno mai lasciato abbastanza tempo alla difesa per intervenire. Inoltre l’accusa di “propaganda contro il sistema”, con la quale Karimi è stato arrestato, non si trova nel verdetto finale, in cui invece è stata aggiunta nell’ultima udienza quella di “offesa alla sacralità islamica” derivante dal ritrovamento di un video musicale sul suo hard disk. Ci sembra poi assurdo che l’accusa di “relazioni illecite” gli sia, invece, stata addossata per esser stato sotto lo stesso tetto con una donna che non aveva il capo e il collo coperti e per averle stretto la mano.

Giuliana Ceccarelli, docente presso il liceo Guglielmotti e amica di Keywan Karimi, lo ha incontrato dopo il suo rilascio su cauzione e ci racconta di un uomo più maturo, che però non ha perso la sua caratteristica e profonda gentilezza d’animo. “Ho incontrato Keywan la prima volta alcuni anni fa a Tolfa in occasione dello Short Film Festival”, racconta Giuliana Ceccarelli. “Un giovane regista che nonostante la giovane età emanava già profondità di pensiero, delicatezza, sensibilità e grande amore per il proprio paese. In quel primo incontro parlammo dell’Iran e di un mio probabile viaggio in quella terra di cui lui raccontava con grande entusiasmo. In questi anni siamo rimasti in contatto e lo scorso luglio, in occasione del mio viaggio in Iran l’ho incontrato di nuovo. La prima sera a Teheran abbiamo cenato insieme. La legge iraniana vieta il contatto fisico tra uomo e donna in pubblico, dunque, nonostante il piacere di rivederci dopo tanto tempo, ci siamo scambiati semplicemente un sorriso. L’ho trovato più maturo e percepivo il segno che i pochi giorni che aveva già trascorso in prigione avevano lasciato in lui. Durante la cena mi ha parlato del suo lavoro e dei suoi progetti. Durante il mio viaggio in Iran, mentre mi spostavo da Yasd a Ysfahan a Shiraz, ci scambiavamo dei messaggi e lui con grande generosità e sensibilità mi chiedeva ogni giorno dove fossi e come andassero le cose, ogni volta ricordandomi di chiamarlo nel caso avessi bisogno. Alla fine del mio viaggio sono tornata a Teheran e ci siamo dati appuntamento per incontrarci di nuovo, questa volta nel suo delizioso appartamento nella zona nord della città. Mi ha accolta con il suo delicato sorriso ed i suoi modi gentili. L’atmosfera nel suo appartamento era calda, accogliente. Su una parete un poster di UNHCR per Kobane, la città nel Kurdistan siriano, martoriata e rasa al suolo dalle operazioni militari degli ultimi anni. Quel poster parlava del profondo legame e dell’amore che Keywan ha per la sua terra. Abbiamo ascoltato musica, parlato di cinema e della condizione attuale dei giovani e degli artisti in Iran. Nei suoi racconti una grande consapevolezza di sé e della condizione di vita nel suo paese. Abbiamo mangiato dei dolci che aveva preparato ed abbiamo preso un delizioso tè. Siamo usciti ed abbiamo fatto un giro in città. Mi ha mostrato la via delle librerie. Siamo stati a cena in un posto dove lui ama andare spesso. E così quella sera ci siamo lasciati con la promessa che ci saremmo rivisti. E con l’invito a tornare in Iran ed a visitare con lui la sua terra, il Kurdistan iraniano. Keywan è un giovane uomo ed artista che parla di valori che ha radicati dentro di sé, che parla del suo profondo legame con la famiglia e con la sua terra. Realista ma con il desiderio di fare qualcosa per rendere quella terra un posto migliore dove vivere”.

Lorenzo Piroli