La Bosnia Erzegovina ha un paesaggio mozzafiato: la terra di Herzog, con i suoi fiumi ripidi e la bellezza delle sue foreste, lascia incantati. Entrando nel cuore della regione, però, non sfuggono le cicatrici lasciate dalla guerra. Il paesaggio è double face: accanto a palazzi nuovi, figli della rinascita e della pace, sorgono ancora edifici in rovina, incendiati e crivellati dai proiettili, eredità della guerra.
Sarajevo deve ancora dimenticare conflitti e divisioni. I suoi passi sul cammino delle garanzie democratiche e dello sviluppo economico sono incerti. La Bosnia Erzegovina vive un momento difficile: fiaccata da una crisi economica drammatica e da un clima di sfiducia nei confronti della classe politica che non riesce a concentrarsi sulle questioni strategiche per il paese. È uno stato con due entità: la Federazione di Bosnia e Erzegovina, dove convivono bosniaci e croati, e la Repubblica Sprska, a maggioranza serba. Una presidenza affidata non ad una, ma a tre persone distinte, un croato, un bosniaco ed un serbo, che si alternano nel ruolo di primus inter pares.
In qualità di capo delegazione dell’assemblea parlamentare dell’Osce ho preso parte alla missione di monitoraggio delle elezioni generali dello scorso 12 ottobre: hanno partecipato decine e decine di partiti e di candidati indipendenti, pochi i partiti a vocazione multi etnica come i socialdemocratici, che comunque hanno conseguito un risultato deludente. Nonostante un’enorme offerta politica, la partecipazione al voto si è fermata al 54%. La presenza di tanti candidati non è stata percepita come una volontà ferma e decisa di costruire il futuro del paese. Il clima di sfiducia nella classe politica era palpabile nonostante alcuni passi avanti siano stati compiuti nel miglioramento dei processi elettorali e nella ricerca di un maggiore equilibrio di genere nelle istituzioni.
Le elezioni, secondo i dati preliminari diffusi dalla commissione elettorale centrale, hanno visto l’affermazione di Bakir Izetbegovic e del suo partito di azione democratica (Sda), che ha avuto la meglio, con il 33,16% dei voti, sul magnate dei media, Fahrudin Radoncic.
L’impressione che ho avuto nei seggi elettorali, parlando con i cittadini, è stata quella di un clima di sfiducia, ma al tempo stesso di consapevolezza sul fatto che la Bosnia Erzegovina meriti un futuro diverso. Un domani che deve prevedere il passaggio dall’assetto nato dagli accordi di Dayton, basato sulle etnie e che ha cristallizzato il conflitto in un’architettura istituzionale molto complessa ma fragile, ad un statualità unitaria, basata sui diritti della cittadinanza.
Per questo la giovane repubblica balcanica ha bisogno del sostegno di tutta la comunità internazionale, a cominciare dall’Europa, con cui deve concludere il processo di integrazione. Il processo di adesione è attualmente fermo: questo certamente per la lentezza del paese ad adottare le riforme richieste dall’Unione europea, ma anche per la decisione di Bruxelles di non procedere ad ulteriori allargamenti nei prossimi cinque anni.
Cosa può fare l’Occidente per Sarajevo? Innanzitutto garantire la democrazia ed i diritti, ma quest’ultimi non sono nulla se un popolo ha fame: il tasso di disoccupazione reale nel paese è del 40%. Abbiamo il dovere morale di sostenere l’economia della Bosnia Erzegovina, creando le condizioni affinché la repubblica balcanica cammini con le sue gambe. L’Osce ha concluso il suo monitoraggio con uno statement severo che mette in luce le tante carenze sul fronte dell’intero processo elettorale, ma che al tempo stesso sottolinea alcuni aspetti postitivi, come ad esempio il buon lavoro svolto dalla commissione elettorale centrale, e incoraggia le istituzioni a proseguire sul cammino delle riforme.
Ho portato con me, rientrando in Italia, l’immagine di un paese afflitto da mille problemi, che cerca disperatamente di uscire da un passato tormentato. Ho portato con me anche le immagini dei volti degli elettori, uomini e donne, che andavano verso l’urna. E verso un futuro ancora incerto. Le cicatrici del passato devono chiudersi per sempre perché il futuro della Bosnia Erzegovina possa approdare, finalmente, a una fase nuova.
Marietta Tidei – Deputata Pd