Il racconto di Alessandra, civitavecchiese a Stoccolma: “Non c’è alternativa all’integrazione”

CIVITAVECCHIA – Vive a Stoccolma da ormai 8 anni. Alessandra Galiani, 40enne civitavecchiese, sposata con uno svedese, è ormai pienamente integrata nel paese scandinavo e pur non rimanendo personalmente coinvolta nell’attacco terroristico dello scorso 7 aprile, ha vissuto da vicino e con profonda partecipazione il tragico evento che ha portato alla morte di quattro persone, e al ferimento di altre decine, nel pieno centro della Capitale, dopo lo schianto di un camion contro le vetrine di un centro commerciale.
Nelle sue parole la testimonianza del clima che si respira in questi giorni a Stoccolma e di come la Svezia abbia reagito all’attentato.

Vi aspettavate un attentato in Svezia? C’era in qualche modo sentore di una tragedia o è stato un fulmine a ciel sereno?

“Dobbiamo aspettarci attentati ovunque. Non credo che un Paese sia piú o meno sicuro di un altro. Accade a Londra, in Francia, in Germania, in Egitto, perché non in Svezia? Siamo in uno stato di allerta globale. Ovunque ci siano uomini c’é la possibilitá che questo accada. La follia umana e la labilitá di certe menti non hanno passaporto e non conoscono confini. In questo frangente storico siamo tutti ostaggio di visioni pericolose e distorte delle relazioni tra culture, uomini e tra uomini e Dio”.

Conosci qualcuna delle persone rimaste coinvolte nell’attentato?

“Non io personalmente, ma mio marito sí. La vittima inglese, Chris, era un suo collega a Spotify. Questo ha reso la tragedia in un certo senso piú vicina. Mio marito ricorda che, l’ultima volta che avevano parlato, Chris gli aveva detto che stava lavorando troppo e avrebbe voluto passare piú tempo con i figli. Quel giorno sarebbe uscito prima dall’ufficio per andare a vedere il figlio giocare una partita. Ecco, l’unico senso di queste tragedie é forse quello di ricordare a tutti noi il valore della nostra vita e le prioritá secondo cui vivere”.

Qual è lo stato d’animo che si respira ora in Svezia e a Stoccolma dopo l’attentato?

“Dopo poche ore era tutto tornato alla normalitá. Come detto, il nostro periodo storico ci costringe a considerare gli attacchi terroristici una parte della normalitá ormai. Lo sanno bene gli italiani che vissero gli anni di piombo. Io vivevo a Londra nel 2005, quando ci furono una serie di attentati terroristici. Lí c’era una rete organizzata e sentivamo sulla nostra pelle il terrore. Avevamo paura di prendere la metro o gli autobus, la cittá era composta ma sotto shock. Il nuovo stile degli attentatori é infinitamente piú rozzo ora. La probabilitá di finirne vittima é la stessa data da un incidente stradale causato da un alcolista. Inoltre, credo che siamo tutti piú assuefatti a certi eventi. A Londra nel 2005 si avvertiva un enorme livello di adrenalina in cittá. Parlando con la gente qui ho avvertito solo molta tristezza ma non rabbia, voglia di vendetta e nemmeno terrore. Come se si fosse trattato solo un brutto incidente. Il partito di estrema destra é peró in ascesa in Svezia e alle prossime elezioni vedremo la reazione pensata degli svedesi. Vedremo se c’é ancora voglia di lavorare per una societá aperta o se invece si fará un passo indietro”.

Da immigrata, avverti un clima di ostilità in Svezia nei confronti degli stranieri?

“Come detto, la crescita di Sverige demokraterna, il partito di estrema destra, é un segnale che una parte della popolazione si é stancata, non tanto degli stranieri europei o occidentali, quanto di una parte di immigrazione che porta spese e poca produttivitá al Paese. La Svezia ha standard altissimi per quanto riguarda le misure di accoglienza ai rifugiati. Sentirsi il nemico in casa porta secondo me ad un ripensare questa apertura. L’abbiamo giá visto dopo l’omicidio di un’assistente nel centro immigrati vicino Malmö. La Svezia ha subito chiuso le frontiere. Gli attentati islamici credo portino ad un avvicinamento tra noi occidentali, che ci sentiamo minacciati da una cultura che mette a rischio il nostro percorso di valori per la libertá, soprattutto in un Paese che quei valori di democraticitá e rispetto per le libertá individuali li vive alla lettera. Quindi da europea non sento ostilitá nei miei confronti. Nel Paese si lavora comunque con molta attenzione per l’integrazione degli stranieri”.

Come pensi sia possibile contrastare il fondamentalismo? E’ davvero possibile rispondere con l’integrazione?

“Non c’é via alternativa all’integrazione. La storia dell’uomo é storia di contatti tra culture diverse da sempre. Cosí siamo cresciuti e ci siamo sviluppati. Ogni volta che un popolo é stato fortemente discriminato o cacciato, si é sempre verificato un indebolimento sociale ed economico del Paese ospitante. Pensa alla cacciata degli ebrei e degli stessi islamici dalla Spagna o quella degli ugonotti dalla Francia. I mediorientali sono ormai parte integrante della nostra societá. Portano in veste di essere umani criminalitá e problemi, ma anche lavoro, cultura e sviluppo. Portano umanitá. La risposta deve essere una maggiore integrazione e un maggiore dialogo invece. Un cercare di capire le reciproche ragioni e di trarre vantaggio da una possibile sintesi dei punti di vista, fermo restando che il percorso verso la totale attuazione dei diritti civili non vada mai messo in discussione. Parlando di fondamentalismo gradirei una risposta piú forte da parte della cultura islamica chiamiamola illuminata. Arrivano segnali troppo fievoli e raramente di aperta condanna, vedo spesso atteggiamenti deboli. Non so se dettati dalla paura o se in effetti da una dubbiosa volontá di schierarsi con noi occidentali. Io vorrei invece che prendessero le distanze dai fondamentalisti con piú chiara fermezza. Questo aiuterebbe il percorso di chi lavora per l’integrazione secondo me”.

Marco Galice