Giornata mondiale dell’alimentazione: quando il cibo diventa patologia

E’ capitato a tutti di usare o di rifiutare il cibo perché si è arrabbiati, si vive un momento di stress, per aiutarci a superare una situazione difficile. E’ normale, ma quando questi comportamenti divengono abituali sorgono problemi seri. Lo psicoterapeuta Giovanni Porta, proprio in occasione della giornata mondiale dell’alimentazione, ci spiega a cosa prestare attenzione in casa con noi stessi e con i nostri figli.
“È difficile descrivere in maniera generale i fattori che facilitano l’insorgere dei disturbi del comportamento alimentare. – spiega – Il primo, e il più ampiamente analizzato, riguarda la famiglia di origine. Non a caso, il periodo di più frequente insorgenza di anoressia, bulimia e abbuffate incontrollate (binge eating) si situa in età adolescenziale, momento in cui il rapporto con la famiglia conosce una profonda trasformazione, che spesso mette in evidenza difficoltà di relazione preesistenti. Ci sono famiglie in cui ai figli viene a mancare il più necessario dei nutrimenti: l’amore. Questo può avvenire per ragioni che hanno a che fare con problematiche personali non risolte dai genitori e/o con esigenze di vita non controllabili. I figli sviluppano e si abituano a convivere con un profondo senso di solitudine, quasi una impossibilità a sentirsi visti e riconosciuti, e può capitare che alcuni cerchino di controllare in maniera ossessiva il proprio corpo per avere un illusorio senso di padronanza di fronte a una realtà verso la quale si sentono impotenti, o almeno incapaci di ottenere ciò che a loro interessa davvero”.
Ma le difficoltà nel rapporto con la famiglia di origine, naturalmente, non sono l’unica causa scatenante. “L’adolescenza è un periodo estremamente delicato nella vita di una persona, – continua – durante il quale il corpo di ognuno subisce profonde trasformazioni e le relazioni si complicano. È il momento in cui per la prima volta si inizia ad avere a che fare con erotismo e sessualità, e il desiderio di piacere a potenziali partner diventa più pressante. Il cibo può essere il luogo dentro il quale nascondersi e con il quale consolarsi (come nel caso delle abbuffate incontrollate) oppure qualcosa da evitare con attenzione: un nemico che rovina la nostra bellezza. Inoltre, tutti sappiamo quanto sia elevata la paura del giudizio, in questa fase della vita. La difficoltà di adattarsi alle prime, a volte feroci forme di competizione tra coetanei, timidezza, problemi relazionali, difficoltà a convivere con la frustrazione, rigidità, scarsa autostima (con conseguente difficoltà ad essere soddisfatti del proprio aspetto) ecc. sono tutti fattori personali che possono facilitare l’insorgere di disturbi del comportamento alimentare. Alle volte si inizia per gioco, o come sperimentazione, e ci si trova poi ad avere a che fare con una vera e propria dipendenza. Come nelle dipendenze da sostanze psicotrope, una cattiva abitudine (dimagrire troppo, vomitare, oppure abbuffarsi) diviene un comportamento di cui non si riesce più a fare a meno. Diviene un modo “magico” per dominare emozioni troppo spiacevoli o per avere l’illusione di controllare situazioni che sfuggono di mano. Ma è una magia di cui prima o poi si paga un conto salato. È importante che i genitori che si accorgono dell’esistenza di forme di disagio nei propri figli e nelle proprie figlie non facciano finta di niente, ma trovino il modo di parlare con loro, senza condannarli ma anzi interessandosi ai loro vissuti, accompagnandoli magari verso un professionista con il quale valutare se iniziare un percorso d’aiuto. Il primo passo è rivolgersi a uno psicoterapeuta, o a un professionista della nutrizione (medico dietologo o nutrizionista). Meglio non aspettare che la situazione diventi di innegabile gravità per intervenire”.
In alcuni casi risultano molto efficaci interventi che coinvolgano l’arte, mezzo che permette di esprimersi senza sentire direttamente la pressione del giudizio.