CIVITAVECCHIA – Non è la prima volta che intervengo su inopportune e gravi dichiarazioni del Sindaco Cozzolino. Niente di personale e neppure ragioni politiche. No, intervengo per esigenze di civiltà.
Ogni volta che Cozzolino scrive mette a dura prova il senso del gusto e la tolleranza.
Due questioni in particolare mi hanno colpito in questi giorni.
La prima: l’esultanza per il provvedimento che ha colpito l’ex sindaco Moscherini. Sono stato avversario politico di Moscherini.
Ma prima di dare giudizi trancianti, pronunciare condanne senza appello, attendo che gli organi inquirenti si esprimano e nell’attesa spero vivamente che egli sia innocente. Innanzitutto per ragioni umane che non riesco mai a mettere in ombra. Inoltre mi piace pensare che tutti i sindaci di questa città abbiano fatto il loro dovere e non abbiano mai profittato di nulla né esercitato pratiche illecite.
Mi piace pensarlo anche se so bene che può esserci l’eccezione e che l’eccezione è giusto che sia colpita dalla legge.
Ma l’atteggiamento del Sindaco è inconcepibile. Egli esulta e senza appello condanna, prima di qualsiasi sentenza. Lo fa per cercare così di dimostrare il suo assunto aberrante: che tutti quelli che lo hanno preceduto sono corrotti.
Lo dice non sapendo nulla della storia di questa città che solo settanta anni fa era completamente devastata dalla guerra e in cui gli amministratori hanno dovuto affrontare problemi immani e, sicuramente anche con errori, lo hanno fatto con dignità e passione e con la convinzione di rendere un servizio alla collettività.
Egli giudica, come sempre, senza sapere nulla. Giudica e basta, limitando l’esercizio della sua funzione di sindaco a questa pratica, al discredito di tutti quanti lo hanno preceduto. E’ il suo modo di intendere l’amministrare a cui fa da corollario la costante geremiade sullo stato delle finanze comunali. Nel frattempo i problemi marciscono e la città degrada, ma questo sembra un fatto del tutto irrilevante.
Scopre inoltre che fare il Sindaco è impegnativo e faticoso. Forse pensava che bastasse indossare la fascia tricolore e incontrare, assecondandoli, i poteri forti.
No, fare il Sindaco è difficile e totalizzante: significa fare i conti con le tante necessità della collettività, combattere con la scarsità di risorse, raccogliere l’eredità che altri ci hanno lasciato, buone e cattive, significa farsi carico del passato, del presente e del futuro, rispettando ogni fase della storia della città.
Significa essere riconosciuto come tale dalla intera comunità e non solo dai propri amici, essere riconosciuto come il rappresentante di tutti e non di una fazione.
Fare il sindaco significa essere salutato e salutare ogni cittadino ed infondere fiducia ed autorevolezza.
E qui vengo al secondo problema.
Un sindaco non ha bisogno di essere difeso dalle sentenze dei giudici. La sua difesa è la sua autorevolezza e la sua popolarità. Un sindaco è difeso dalla popolazione quando lo considera un suo patrimonio.
Nessuno lo prenderà a calci se sarà circondato dalla stima e dall’affetto dei cittadini.
Lamentarsi perché il magistrato – ma non sono sempre bravi i Magistrati quando condannano gli avversari? – non ha sanzionato il cittadino che lo ha spintonato è il segno di una ricerca di protezione che dovrebbe invece trovare soltanto nel corretto esercizio della sua funzione e nel riconoscimento pubblico.
Il sindaco va rispettato e non sono le autocelebrazioni che contano. Conta l’esserci, l’essere dentro i problemi e i bisogni della gente, l’essere accanto ai senza tetto, ai disoccupati, ai più deboli. Essere vicino alla cittadinanza, coinvolgerla, farla sentire partecipe.
Serve rispettare per essere rispettati. Serve unire e non dividere.
Questa divisione del mondo in buoni e cattivi, onesti e disonesti, amici e nemici, da parte di un sindaco: è questa la vera violenza. E non ci saranno Magistrati o forze dell’ordine che potranno mettere al riparo i sindaci della divisione e dell’intolleranza.
Fabrizio Barbaranelli