CIVITAVECCHIA – Intitoliamo una via ad Enrico Berlinguer e Giorgio Almirante. La proposta, al Sindaco Pietro Tidei, arriva dall’esponente della Destra Patrizio Podda (dimentico, consapevolmente o forse no, che una via intitolata a Berlinguer a Civitavecchia esiste già) il quale motiva la sua richiesta con l’esempio di “rispetto e onestà” che i due uomini politici, pur nella loro profonda differenza di idee, rappresentano ancora oggi per le nuove generazioni.
Di seguito il testo integrale della lettera inviata da Podda al Primo Cittadino.
“Tra pochi mesi (11 giugno) ricorrerà il ventinovesimo anniversario della morte di Enrico Berlinguer, leader del Pci ricordato soprattutto per il suo impegno nel denunciare la “questione morale”, argomento tra i più citati di questo ultimo scorcio della seconda Repubblica. Ma in pochi ricorderanno la capacità di Berlinguer di rispettare gli avversari e di dialogare con loro, un modo di vivere la politica che in Italia gli odierni attori, sempre troppo protesi verso lo stantio gioco delle fazioni, hanno inesorabilmente perso, arroccandosi su divisioni ideologiche e manifestando così una incapacità di parlare ad una società rinnovata.
Enrico Berlinguer era un uomo culturalmente cresciuto dentro il fervore ideologico. Quando venne a mancare, come molti ben ricordano, l’allora segretario del Msi Giorgio Almirante non esitò a varcare il portone delle Botteghe Oscure per rendere omaggio alla sua salma, con un gesto simbolico di grande valore che intaccò in profondità il muro dei pregiudizi tra sinistra e destra e che ancora oggi, da ambo le parti, viene ricordato con favore.
Un fatto storico: due dirigenti comunisti del livello di Nilde Jotti e Giancarlo Pajetta che ricevono l’uomo che fu accusato d’essere stato una pedina della Repubblica sociale. Un fatto che il quotidiano La Repubblica definì “ assolutamente inedito e sorprendente”.
Almirante, dritto in abito grigio al centro della camera ardente, si fa il segno della croce e leggermente si inchina di fronte alla cassa di legno chiaro sotto lo sguardo attento del picchetto d’onore formato da alcuni membri della direzione del Pci (fra cui Cossutta, Cervetti e Chiarante). All’uscita dalla sede del Pci il segretario dell’Msi dirà: «Non sono venuto per farmi pubblicità, ma per salutare un uomo estremamente onesto». Anche sulle colonne de Il Secolo d’Italia l’addio a Berlinguer fu trattato con accenti adeguati al livello del personaggio, non trattato come nemico, ma giudicato lealmente da avversario con le sue luci e ombre: «Se n’è andato – scriveva il direttore Giovannini – il segretario del Pci, accompagnato dal dolore e dal rimpianto dei suoi molti militanti, e dal solidale rispetto degli avversari; ma se n’è andato anche lasciando il suo partito politicamente a metà del guado. L’avvento del giovane sardo, di nobile nascita e di educazione libertaria, privo del carisma della cospirazione e della resistenza antifascista, rappresentò un trapasso “rivoluzionario” col quale la vecchia guardia stalinista sacrificò, praticamente la generazione di mezzo (quella cioè degli Ingrao, degli Alicata, dei Natta, dei Napolitano) tutta o quasi di estrazione littoria». Concludeva lo stesso Giannini «attorno al suo feretro i compagni piangono oggi, giustamente, la scomparsa di un uomo onesto che ha cercato anche di essere giusto». Un primo passo verso la pacificazione nazionale al quale ne seguì un altro. Alla scomparsa di Giorgio Almirante la scena si ripete. In via della Scrofa arrivò Nilde Iotti per tributare ad Almirante l’omaggio che gli era dovuto per il ruolo storico assolto, quello cioè di traghettare pienamente nella vita democratica del Paese un partito sorto all’insegna del reducismo.
Se dalle colonne de Il Secolo d’Italia si potevano usare parole miti, rispettose e sincere per commentare la morte di un avversario, va ricordato – e pochissimi lo sanno – che lo stesso Enrico Berlinguer fin dal 1951 incarnava un “comunismo dialogante” come dimostra l’invito rivolto ai giovani del Msi a scrivere sulle colonne del giornale della Fgci Pattuglia. Nel libro di Buchignani Fascisti rossi viene riportato l’invito «per la salvezza della Patria» rivolto ai giovani da parte dello stesso leader comunista: «Noi esortiamo apertamente i nostri 470.000 giovani ad abbandonare ogni orientamento settario ed esclusivista, ad avvicinarsi, in centinaia di migliaia di dibattiti, a tutti i giovani italiani… Noi non escludiamo nessuno, non c’è ambiente, non c’è scuola, fabbrica o villaggio, non c’è giovane con il quale noi non vogliamo discutere. Sappiamo che anche in quei movimenti che si considerano generalmente nostri avversari vi sono giovani in buona fede, giovani che riflettono con la loro testa, forze sane da risvegliare per l’interesse del Paese».
Nella sezione romana di Monte Sacro fu addirittura organizzato, per volere dello stesso segretario Berlinguer, un incontro con Pino Rauti che fu anche “ospitato” sulla rivista giovanile comunista. Nel suo intervento Rauti afferma che «la gioventù debba discutere di un problema che sta alla base di tutti gli altri, quale compito, quale funzione, quale missione i giovani ritengono di poter indicare oggi a tutto il popolo italiano per farlo uscire dall’abulia che lo va conquistando sempre di più…». Sul numero successivo di Pattuglia trovò spazio un’inchiesta sui giovani del neofascismo cui viene rivolto un appello affinché si uniscano tutte le giovani generazioni che lottano per la pace e per l’indipendenza nazionale.
Vicende marginali ma importanti dove viene dimostrato in maniera indissolubile come personaggi che, per la loro ideologia e per il contesto storico in cui vivevano, non avrebbero dovuto avere punti di contatto, seppero ricercarne in nome di un bene nazionale superiore. Un vero e proprio esempio da seguire per quanti oggi, al contrario, ricercano di innalzare gli steccati del pregiudizio rispolverando luttuose parole d’ordine dell’antifascismo militante. In tal modo si evidenzia una ignoranza storica che può essere sconfitta soltanto dal confronto, dal dialogo e dall’altrui rispetto indipendentemente dalle appartenenze partitiche. Figure come Berlinguer ed Almirante possono aiutare le nuove generazioni in quel percorso di crescita che è prerogativa delle pubbliche istituzioni. Per questi motivi sono a proporre alla Sua Amministrazione di valutare la possibilità di intitolare una via cittadina ad Enrico Berlinguer e Giorgio Almirante che operarono per istituzionalizzare il confronto: il primo sforzandosi di andare oltre il dogmatismo del comunismo, il secondo lavorando per quella pacificazione che fu tra gli obiettivi primari del Movimento Sociale. Si tratta soltanto di un altro passo seguendo il loro esempio di onestà e moralità politica”.