Giappone shock, torna la pena di morte

iniezione letaleL’allarme è scattato pochi giorni fa. Per tutti i convinti sostenitori del diritto alla vita il ritorno del Giappone alla pena capitale rappresenta un durissimo colpo. A niente sono servite le proteste pervenute al governo da ogni parte del mondo:  il Giappone ha eseguito la condanna a morte di 3 detenuti, quasi due anni dopo le ultime esecuzioni capitali realizzate nel luglio 2010.
Tomoyuki Furusawa, 46 anni, è stato impiccato a Tokio; Yasuaki Uwabe, 48 anni, a Hiroshima; Yasutoshi Matsuda, 44 anni, a Fukuoka. I tre, erano stati riconosciuti colpevoli di vari assassinii. Appoggiata, secondo il governo, da oltre l’80 per cento della popolazione (e questo è il dato più allarmante in un occidente che sembra sempre meno “illuminato”), la pena capitale in Giappone è sempre accompagnata da grandi polemiche. Il Paese nipponico, che insieme agli Usa è l’unica nazione industrializzata e democratica ad applicare ancora la pena di morte, giustizia sulla forca i condannati, quasi sempre in gran segreto, senza dare alcun preavviso ai condannati o ai loro famigliari e senza testimoni.
La decisione del ministero della Giustizia aveva provocato la reazione di gruppi a tutela dei diritti umani, come Amnesty International, che ha anche ha puntato l’indice sulle durissime condizioni in cui vengono tenuti i detenuti in attesa del giudizio.
Secondo le informazioni che filtrano dalle associazioni umanitarie, i prigionieri ricevono infatti pochissime visite e sono costretti a trascorrere la gran parte del tempo seduti nelle proprie celle. Secondo il ministero della Giustizia, attualmente in Giappone ci sono 132 persone in attesa della sentenza capitale, tra cui anche Shoko Asahara, l’uomo che organizzò l’attentato con il gas sarin nella metropolitana di Tokyo nel 1995.
“Queste tre esecuzioni sono un profondo passo indietro e riportano il Giappone in quella minoranza di paesi che usano ancora la pena capitale”, ha dichiarato Catherine Baber, vicedirettrice di Amnesty International per l’Asia e il Pacifico. “Giustificare azioni che violano i diritti umani col ‘dovere ministeriale’ è inaccettabile. Al contrario, dovrebbe essere responsabilità di chi ha incarichi politici di affrontare la criminalità senza ricorrere alla punizione più crudele, disumana e degradante”.
Solo due giorni fa, Amnesty International aveva pubblicato il rapporto sulla pena di morte nel 2011, sottolineando il positivo sviluppo dell’assenza di esecuzioni in Giappone per quasi due anni. L’organizzazione aveva chiesto, e rinnova oggi la richiesta al Giappone, di unirsi agli oltre due terzi dei paesi che hanno abolito per legge o nella prassi la pena capitale o che hanno dichiarato una moratoria come primo passo verso l’abolizione.