SANTA MARINELLA – La settimana di commemorazione trentennale per la tragica alluvione di Santa Marinella si è conclusa domenica 2 ottobre con un convegno presso la sala Flaminia Odescalchi dal titolo: “Cosa è accaduto il due ottobre? E cosa è cambiato? Una proposta di gestione del territorio dal punto di vista idrogeologico”. I relatori sono stati l’ingegnere Germano di Francesco e Giovanni Dani, del Dipartimento Ambiente, servizio acque, della Provincia di Roma. Lasciate da parte le emozioni e le commozioni degli eventi dei giorni scorsi, domenica ha prevalso la lucidità, il rigore scientifico e l’attenta analisi della situazione passata, attuale e futura. E proprio questo era l’intento della settimana del ricordo, partire dalle emozioni per non dimenticare e arrivare a pensare un futuro migliore e più sicuro perché ciò che è accaduto nel 1981 non accada più. Una settimana catartica per i tanti cittadini santamarinellesi che hanno partecipato agli eventi in programma e domenica, ancora più numerosi e attenti, hanno presenziato al convegno. Per non essere retorici, ma propositivi, si è quindi parlato scientificamente di come e perché avvengono le alluvioni, dei fattori di rischio della Perla, delle previsioni future, di quel che è stato fatto da trent’anni a questa parte, e di quello che si potrebbe fare a partire da oggi. In sostanza, l’acqua va al mare per una legge della fisica, e nel nostro territorio ci va più velocemente perché la conformazione dei fossi non presenta la zona pianeggiante di decantazione delle acque, inoltre le sezioni dei punti di luce dei fossi e dei ponti non sono sufficienti a far defluire una quantità elevata di acqua che è, per fisica, un liquido incomprimibile, specialmente poi quando porta con sé rami, sterpaglie e ostacoli vari. A questo proposito basta pensare che al Ponton del Castrato ad Alibrandi l’acqua raggiunse nell’81 i sei metri di altezza. Oltre a queste propedeuticità fisiche all’alluvione, perché essa si verifichi occorre che cada una quantità elevata di pioggia in un tempo ridotto e che incontri una risposta specifica del territorio, ovvero una ridotta capacità di assorbimento dell’acqua stessa. Se quindi la portata della piena è maggiore della capacità di contenimento e di deflusso dei fossi, e il terreno non riesce ad assorbire parte della piena, si ha l’alluvione. Nel caso dell’81 determinante è stata anche la direzione della pioggia, essa seguiva infatti il corso dell’onda dell’acqua, andando ad aumentare ancora la piena. Il rischio di alluvione è il prodotto del pericolo, ovvero la probabilità che si riverifichi un evento simile e del danno, maggiore quando si possono perdere vite umane. Secondo questa formula matematica l’ingegneria della sicurezza ci dice che un evento simile all’81 potrebbe ripetersi tra trenta anni. Per allungare il tempo di ritorno dell’evento occorre partire subito, anzi, siamo già in ritardo, perché nel frattempo non solo non si è fatto nulla per evitare il rischio che si ripeta l’alluvione, ma siamo riusciti a peggiorare la situazione costruendo ancora più vicino ai fossi e riducendo ancora di più le già insufficienti sezioni dei punti di luce e degli argini degli stessi. Allo stato attuale delle cose le previsioni sono catastrofiche, è venuto davvero il momento che tutti ne prendano coscienza e comincino a muoversi in una direzione migliore, in previsione del futuro. Trent’anni fa sono bastate tre ore per mettere in ginocchio il paese, in quelle tre ore è sceso un terzo della quantità totale annua di pioggia di S. Marinella. Oggi la manutenzione ordinaria dei fossi non basta più, bisogna iniziare a pensare ad un progetto più grande, magari che coinvolga più comuni, le università e le istituzioni, per rinaturalizzare i fossi, i fiumi, per dargli lo spazio necessario ad esondare, per trovare una comunione migliore con la città, per diminuire i danni in caso di alluvione e il rischio di alluvione stessa. Ci sono diversi studi condotti sul territorio di Santa Marinella mai resi pubblici, alcuni finanziamenti che non si sa che fine abbiano fatto, qualche progetto mai preso in considerazione. “Il territorio non edificabile non interessa a S. Marinella – molti dicono – ma adesso è il caso che si inizi a pensare al territorio non più in termini di case da costruire e vendere ma di vite da salvaguardare”. Questa la speranza degli organizzatori della settimana, auspicando che il tutto non si fermi qui e cada nel dimenticatoio fino al prossimo anniversario, ma che invece il discorso continui e si riesca a costruire davvero un futuro più sicuro.
Francesca Ivol