Non c’è spazio per i Rom, nemmeno in Romania

Nomadi romCristian Delcea per il suo giornale ha cercato di rispondere a una domanda che divide l’Europa: qual è il ruolo dei rom nella Comunità europea e nella nostra comunità in generale? Mai prima d’ora i rom erano stati tanto al centro del dibattito pubblico. Mentre la Francia schiumava contro l’Iran per Sakineh ottomila zingari romeni venivano rimpatriati in maniera coatta. Delcea  ha cercato di scoprire qualcosa in più di loro, indossando per una settimana i panni dello zingaro-tipo: cappello, camicia variegata, giacca di pelle, pantaloni di velluto e i baffi.
Il tour è iniziato a Piazza dell’Università a Bucarest. C’erano alcuni studenti ubriachi che si sono fatti beffe del povero  “pseudo rom”  gridandogli dietro gentili epiteti. “Quella stessa sera – racconta – sul tardi, sono andato al Teatro Nazionale. La gente che mi stava intorno non era in verità lieta della mia presenza, ma nessuno ha detto nulla. Ho sentito le stesse risate di prima, provenienti da un gruppo di giovani. Mi è sembrato che siano proprio loro i più cattivi verso gli zingari. Ti ridacchiano sempre dietro le spalle. Può anche darsi che i loro sguardi facciano più male ancora dell’occhiata crudele di Nicolas Sarkozy, il presidente francese” commenta amaro il giornalista.
In Romania ci sono campagne per l’integrazione e l’alfabetizzazione dei rom, ma non ci sono campagne perché la gente eviti di ridere alle spalle di uno zigano per strada. In Italia la situazione è ancora più grave.  La sensazione più forte è che  ci sia una incapacità di fidarsi dell’essere umano zingaro. Delcea la descrive così parlando dei suoi connazionali rumeni: “Vorremmo che gli zingari profumassero e amassero l’arte, ma nessun datore di lavoro vuole assumere uno zingaro. E senza soldi lo zingaro precipita nella miseria, oppure cerca dei mezzi non convenzionali per procurarseli. Ho cercato di ricorrere ai mezzi convenzionali, ho fatto tutto quanto era in mio potere per farmi assumere. Ho consultato la pagina delle offerte di lavoro sui giornali per operai non qualificati, lavamacchine, autodemolitori”.
Eppure in Romania, paese che erroneamente viene spesso confuso, dagli italiani, come luogo d’origine dell’etnia rom  (ma in cui la comunità è senz’altro consistente) le risposte non sono così diverse da quelle che un ragazzo rom riceverebbe da noi,  al telefono un rifiuto piuttosto generico, e un più laconico “Vattene, zingaro!” nel caso in cui osi recarsi sul posto. “Presso una ditta di pulizie la figlia del capo mi ha guardato dietro gli occhiali e mi ha detto: ‘Non assumiamo. Non l’abbiamo mai fatto’. Il che significa, indubbiamente, che gli spazzini che si davano il cambio in cortile devono essersi tramandati quel lavoro di padre in figlio”.
Alla periferia di Bucarest il nostro ha forato una gomma, più o meno di proposito. Ha trascorso più di tre ore sul ciglio della strada, gesticolando, facendo segno agli altri automobilisti di passaggio di aver bisogno di aiuto, la risposta sconfortante anche in questo caso: “Ho letto parolacce e ingiurie sulle labbra di alcuni. Altri mi hanno suonato dietro il clacson ridendo. Uno ha perfino fatto finta di venirmi addosso. Ero completamente solo. Centinaia di persone mi sono passate accanto senza prestare soccorso. In quel preciso momento ho compreso perché gli zingari si spostano in gruppo: se restassero soli morirebbero”.
Questo piccolo esperimento è finito dove è iniziato, in Piazza dell’Università. Un brutto risveglio per un giornalista e un intellettuale che pur nella sprezzante critica del razzismo più o meno malcelato aveva sempre concesso il beneficio del dubbio ai suoi concittadini e si accommiata così “Credo di aver concluso ben poco, di non aver trovato una soluzione al problema dei rom. Come vuole la società che vada a finire per loro? Dopo essere stato trattato come uno zingaro per sette giorni, oserei dire che la risposta l’ho trovata sulla parete di una vecchia casa, dove qualcuno ha riportato un versetto del vangelo (Giovanni 3,7): ‘Bisogna che voi siate generati di nuovo’. E in questo caso non si tratta di una metafora”.