Indignados perché “non ci rappresentano”

indignados spagnaLa Spagna chiede di cambiare, questo è un dato di fatto, certificato dal voto amministrativo iberico della scorsa settimana. La scintilla innescata dalla piattaforma ¡Democracia Real Ya! (Dry) è diventata un incendio, in modo talmente insperato e potente che in pochi si arrischiano a prevedere fino a dove potrà arrivare il movimento formato dalle migliaia di giovani che da giorni si radunano in diverse piazze spagnole.
Ma chi sono questi “indignati” spagnoli? Come spesso accade, la voce del cambiamento è giovane e di bella – e disattese – speranze: “Una delle mie migliori alunne di qualche anno fa il 15 maggio era a Puerta del Sol. Fa pratica in uno studio di avvocati per 300 euro al mese”, racconta Irene Martín, dottoressa in scienze politiche dell’università autonoma di Madrid (Uam). Non si tratta di un caso eccezionale, ma di qualcosa che rappresenta a pieno il problema dei giovani spagnoli, alle prese con un lavoro sempre più precario e un tasso di disoccupazione giovanile che ha raggiunto il 43 percento. “La loro situazione è la peggiore di tutta Europa, anche peggio che in Grecia e in Italia”, afferma Martín, intervistata da El Paìs.
Le difficoltà economiche sono fondamentali per spiegare il fenomeno, ma non sono certo le uniche cause. Secondo Ignacio Sánchez-Cuenca, professore di sociologia dell’università Complutense di Madrid, il malessere generato dalla crisi è evidente: “La situazione era chiara già nel maggio del 2010, quando Zapatero ha effettuato una virata nella politica economica”.
Tra i bersagli delle critiche del Movimento 15-M c’è il sistema democratico attuale. “Non ci rappresentano!” è uno degli slogan più ricorrenti.
Leggendo i sondaggi il malessere si palesa nei numeri: da più di un anno i politici e i partiti sono considerati dai cittadini come il terzo problema del paese. C’è chi ha messo in parallelo le proteste spagnole con i venti di rivoluzione del mondo arabo, seppur con sfumature diverse; certo punti di contatto vi sono: l’uso dei social network ad esempio che hanno permesso di radunare persone molto diverse tra loro.
Il sociologo Vallespín analizza la situazione ipotizzando vari scenari: da una parte “la riforma del sistema elettorale con l’ampliamento del congresso fino a raggiungere i 400 deputati consentiti dalla costituzione”, e dall’altra “l’apertura delle liste” dei partiti politici, con un rischio però, e cioè che la situazione attuale possa scivolare in una sorta di populismo di sinistra. Ad avvalorare la tesi del professore il fatto che molti notano che le proposte dei diversi gruppi che hanno dato vita al movimento risultano parecchio disconnesse, e per questo motivo rischiano di non creare un humus compatto ed articolato. Secondo Ismael Peña, professore di scienze politiche dell’università Oberta de Catalunya (Uoc), “o il movimento sfocia in un partito o sarà molto difficile che le formazioni tradizionali cambino le cose”. Per ora alcuni dei portavoce della piattaforma Dry si sono mostrati prudenti in tal senso, insistendo sul fatto che è ancora molto presto.