Era il 19 luglio 1992 quando una macchina imbottita di tritolo in via D’Amelio a Palermo poneva fine alla vita del Giudice Paolo Borsellino e dei suoi cinque agenti di scorta: Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. Appena due mesi prima Giovanni Falcone era stato trucidato nell’attentato di Capaci. Una strage, quella di via D’Amelio, su cui depistaggi e false testimonianze non hanno ancora permesso di fare piena luce, soprattutto sui mandanti di questa barbara esecuzione. Sulla morte di Borsellino, come sono convinti i giudici di Palermo che stanno ancora indagando a distanza di 20 anni, aleggia l’inquietante ipotesi di un accordo raggiunto tra mafia e pezzi deviati dello Stato, preoccupati dalle indagini che il magistrato stava portando avanti proprio per smascherare quei politici corrotti che, a livello governativo, per anni avevano stretto accordi con la criminalità organizzata favorendone gli interessi in Sicilia e in tutto il Meridione. Una verità che evidentemente non doveva essere svelata.
A distanza di 20 anni dalla morte di Borsellino, suonano allora terribilmente premonitrici e duramente ammonitrici le parole che il magistrato pronunciò nel corso di un incontro con gli studenti di una scuola superiore di Bassano del Grappa, il 26 gennaio 1989. Parole che riteniamo il miglior modo per ricordare Paolo Borsellino affinché il suo sacrificio possa ergersi sempre a inestimabile dono nella difficile e cruenta lotta alla mafia e per la legalità.
“Ora, l’equivoco su cui spesso si gioca è questo; si dice: quel politico era vicino al mafioso, quel politico è stato accusato di avere interessi convergenti con l’organizzazione mafiosa, però la magistratura non lo ha condannato, quindi quel politico è un uomo onesto. E NO! Questo discorso non va perchè la magistratura può fare soltanto un accertamento di carattere giudiziale. Può dire bè, ci sono sospetti, anche gravi, ma io non ho la certezza giuridica che mi consente di dire che quest’uomo è mafioso. Però siccome dalle indagini sono emersi tanti fatti del genere, altri organi, altri poteri, cioè i politici, cioè le organizzazioni disciplinari delle varie amministrazioni, cioè i Consigli comunali o quello che sia, dovevano trarre le dovute conseguenze da certe vicinanze tra politici e mafiosi, che non costituivano reato, ma erano o rendevano comunque il politico poco affidabile nella gestione della cosa pubblica”.