Il Kenya tra Costituzione e dittatori

kenya africaRatificata il 27 agosto, dopo un litigioso dibattito interno durato oltre vent’anni, la nuova Costituzione del Kenya, festeggiata con una cerimonia che ha visto sfilare più di 1000 soldati keniani alla presenza di numerosi capi di Stato africani, nel consueto bagno di folla che caratterizza gli eventi nel continente.
Il testo, approvato dal 67,25% dei cittadini nel corso di un referendum popolare svoltosi il 4 dello stesso mese, ha ottenuto dunque anche la firma del Presidente della Repubblica Mwai Kibaki e andrà così a sostituire la Dichiarazione di Indipendenza del 1963.
La data della ratifica potrebbe avere una portata epocale per il paese, in quanto, con l’entrata in vigore di questa nuova Carta costituzionale, per la prima volta nella sua storia il Kenya avrà, almeno a livello formale, tutti i requisiti necessari per salutare l’avvento di una nuova era: quella democratica. La ratio alla base del testo è, infatti, l’avvio di una riforma profonda che toccherà ogni strato della vita del paese, consentendo di sostanziare la democrazia nelle istituzioni e nella società keniana. Come sottolineato dalle ong che monitorano il rispetto dei diritti umani in Africa, sono molte le innovazioni che dispongono la nascita di nuovi diritti sociali ed economici e che tutelano maggiormente la salute della popolazione. In particolare, sono da notarsi il libero accesso alle fonti d’acqua potabile e l’eliminazione delle discriminazioni di genere che, in sede giudiziale e attraverso norme consuetudinarie, fino ad oggi hanno impedito alle donne di rivendicare o ereditare la proprietà dei beni. Un’altra importante novità riguarda, inoltre, la creazione di un sistema istituzionale di controlli e contrappesi tra i poteri statuali, affinché venga assicurata la democraticità dei processi politici, decisionali e giudiziari. Dal punto di vista della forma statale, è mantenuta la forma presidenziale, ma viene creato un sistema di enti locali per delocalizzare il troppo accentrato potere di Nairobi. Le riforme sono pensate, infine, anche per evitare la degenerazione in violenza delle situazioni elettorali, come purtroppo accadde dopo il voto del 2007, quando persero la vita in Kenya più di mille persone a causa della guerriglia in cui precipitò il paese.
Ricordando questo spiacevole episodio e, soprattutto, vista la partecipazione alla cerimonia del Presidente sudanese Omar al-Bashir, viene da pensare quanto sia ancora troppo presto per festeggiare l’avvio della democrazia in Kenya. La presenza di un dittatore ricercato dalla Corte Penale Internazionale dell’Aja per crimini di guerra e genocidio non solo ha rovinato la festa, ma ha macchiato indelebilmente, ancora una volta, la credibilità del Kenya: Bashir non era sulla lista degli invitati, ma si è seduto sul palco principale, ha stretto felicemente le mani agli altri politici presenti ed è stato riconosciuto tra gli ospiti dallo stesso Kibaki, che lo ha salutato e poi menzionato all’inizio del suo discorso. Il presidente keniano, al contrario, avrebbe dovuto ricordare che il suo paese è firmatario dello Statuto di Roma che nel 1998 istituì la Corte dell’Aja e che questo gli impone di accettarne le sentenze e di cooperare alla loro applicazione: in altri termini, avrebbe dovuto  provvedere all’arresto immediato di Bashir, come richiestogli peraltro dall’Unione Europea, non salutarlo come amico della nascente democrazia keniana. Ciò non può non ricordare a chiunque si occupi di affari africani che Kibaki faceva parte del regime di Daniel Arap Moi e che la sua rielezione, nel 2007, fu macchiata dall’accusa di brogli denunciati dal suo avversario e confermata dagli osservatori internazionali.
Indubbiamente, con questo nuovo testo, è stato fatto un grande passo avanti dal Kenya, ma sarà possibile il passaggio ad una vera e propria democrazia finché questo signore sarà il capo dello Stato?