“Il colore della polvere” nell’inferno della Somalia in guerra

MOGADISHU, SOMALIA: An U.N. soldier runs towards a U.N. checkpoint 08 July 1993, near "villa Somalia," the residence of ex-Somali dictator Syad Barre. A U.N. spokesman denied reports 08 July that 2,00 extra U.S. troops had been deployed in Somalia. (Photo credit should read ERIC CABANIS/AFP/Getty Images)

LADISPOLI – Nuovo appuntamento con gli “Aperitivi culturali” a Ladispoli. Dopo la splendida conferenza del Prof Morpurgo sulla filosofia medievale della settimana scorsa, questa volta ci si immerge nell’attualità. Si parla di Somalia, di missioni italiane in quel martoriato paese, dei nostri uomini migliori che affrontano questi scenari di guerra (che chiamiamo peace keeping, enduring freedom, restore hope ecc).

Khak è la parola persiana che significa polvere. Quella polvere che si solleva ogni volta che una scheggia di male si conficca nella carne innocente di un civile in Somalia, per poi ricadere sulla divisa di un militare italiano in missione. Khaki, come il colore della polvere. Dopo la fuga e la morte del dittatore Siad Barre, che si lasciava alle spalle oltre 50.000 morti civili, la Somalia è dilaniata dalla guerra civile, che in realtà è una guerra tribale, sostenuta (così come lo era stato Barre) dai governi stranieri. Il 2 luglio 1993 muoiono i primi 3 militari italiani nell’imboscata al Checkpoint Pasta e il paese è nel caos.

Un altro militare italiano, mimetizzato nella polvere, deve portare a termine la sua missione contro i signori della guerra che devastano il paese. Il suo elicottero viene colpito, lui ferito. Ad un certo punto, una donna e una bambina irrompono nella sua vita: un colpo di vento che parrebbe far ritornare sopra le loro teste uno spicchio di cielo, ma con esso, la paura di non essere più nascosti.

Massimiliano Campita, portando la passione e il ricordo di chi ha vissuto gli eventi in ogni parola, con crudele lucidità dalla prima all’ultima pagina ci conduce nel durante e nel dopo. Perché c’è un dopo per le famiglie di chi non torna ma c’è un dopo anche per gli uomini che dopo aver visto tanto orrore tornano ad una vita che potrà mai più essere la stessa.

L’autore è nato e vive a Roma. Oggi lavora nella cyber security, ma è stato Ufficiale dell’Esercito Italiano nell’Artiglieria Contraerei, specializzazione missili. Pilota e Consigliere Giuridico delle Forze Armate (quello che gli americani chiamano JAG). Oggi è un ufficiale soggetto a richiamo nel Corpo Militare Speciale dell’Esercito. “Il colore della polvere” è il suo primo romanzo. Un tuffo nell’abisso, il racconto di un’esperienza che ti segna per sempre, che porti dentro per sempre.

Il racconto di uomini invisibili (ufficialmente siamo un paese in pace da 70 anni), che una volta rientrati non possono neppure indossare la divisa per la festa del 2 giugno, pena il carcere. Missioni che “non hanno mai avuto luogo”, dove politica, servizi segreti, interessi economici e traffici internazionali creano mix esplosivi in paesi appesi sul baratro, tra dittature sanguinarie, ingovernabilità e guerra civile.

E i nostri uomini migliori nel mezzo. A cercare spiragli, relazioni accettabili, perché solo se ci credi puoi pensare di lasciare una vita agiata e tranquilla e perderti in quell’inferno che in Africa ha il colore accecante del sole a picco, del caldo infuocato e della polvere. Quella polvere dove l’umanità non ha più parvenza umana, dove non esiste più pietà, dove bambini-soldato armati di mitra vengono arruolati da miliziani che dopo aver sparato ridono… Ridono forse per l’adrenalina dell’essere ancora vivi, per oggi, per qualche ora. In quegli anni i conflitti non erano ancora religiosi. Ma l’orrore è lo stesso.

Venite a sentire questa storia, queste storie. Sono tante e troppo spesso dimenticate.

Appuntamento venerdì 23 novembre, alle ore 19:00, presso la Caffetteria dell’Hotel Villa Margherita – Viale Duca degli Abruzzi 143 a Ladispoli.