CIVITAVECCHIA – Che ci sia il tutto esaurito o meno alla “Blue in the Face” di Civitavecchia c’è sempre aria di familiarità. Aggiungiamo a questo la curiosità del nuovo e otterremo una combinazione interessante ed inedita. Infatti a poche settimane dalla prima al Teatro Ambra alla Garbatella di Roma, “Ungra”, lo spettacolo in tre dimensioni con Teodora Nadoleanu e Katia Lopetti alla regia, invade con i suoi occhialini 3D il teatro Novo Sala Gassman.
Ambientato nel 4014, “Ungra” tiene gli spettatori in sala in febbricitante attesa di assistere a questo nuovo traguardo dell’arte. La scenografia è ottenuta tramite una proiezione su doppio schermo: il primo, trasparente, è interposto fra il pubblico e le attrici sulla scena e ospita tutte le proiezioni tridimensionali; il secondo, di un più tradizionale bianco, si trova invece sul fondo del palcoscenico.
Nonostante il grande potenziale, potremmo dire però che il tentativo innovatore non è riuscito fino in fondo. La sceneggiatura fitta non lascia spazio alla leggerezza di una risata, non suscitata nemmeno da quei pochi momenti dal tratto più volutamente leggero. Il 3D poco sfruttato lascia invece un insoddisfacente sapore di amaro in bocca.
Mentre sulla scena si avvia a conclusione la lotta fra le due popolazioni di donne che si sono formate sul pianeta Terra a seguito dell’estinzione del genere maschile nel 3715, lo spettatore, dal basso della sua poltroncina, tenta di cogliere quelle forme tridimensionali a stento osservabili ai lati della scenografia.
Eppure, nonostante tutte le critiche negative che gli si possano muovere, lo spettacolo ha un suo lato intrigante, un qualcosa che dopo quell’ora di dialoghi incessanti non ti lascia del tutto insoddisfatto. Con le sue proiezioni e una caratterizzazione delle protagoniste che si potrebbe definire “coreografica”, la rappresentazione intrappola lo spettatore in un videogioco live-action in cui condurre a termine la fondamentale missione di riportare in vita il genere maschile. Fra lotte corpo a corpo e sfoggio di poteri sovrannaturali, il cast riesce con la propria bravura a mascherare quei difetti e quelle difficoltà dovute all’inesperienza nell’affrontare un tipo di teatro ancora all’inizio del suo sviluppo.
I costumi firmati Simone Luciani sono di chiara ispirazione seventies e rimandano ai classici della fantascienza adattandosi allo stesso tempo alla novità che caratterizza lo spettacolo. Uno spettacolo che, così come i costumi, funge da interessante ponte (seppur non perfetto) verso una nuova forma di arte teatrale.