Quando Caravaggio fu fatto sbarcare a Palo dove fu ucciso il 18 luglio 1610

Michelangelo Merisi il quale assunse il nome, anzi lo pseudonimo, di Caravaggio, visto e considerato che entrambi i suoi genitori erano nati ivi, mentre lui comunque nacque in quel di Milano il 29 settembre 1571 e, come è universalmente noto, fu un pittore semplicemente straordinario il quale travolse, come un moderno tsunami, tanti radicati canoni pittorici, tanto è vero che la critica più attenta (qualcuno dice la più “illuminata”) lo utilizza come una sorte di spartiacque parlando di un prima di Caravaggio ed un dopo dello stesso, andando, letteralmente, a far “scuola” perché con lui nacque addirittura la corrente pittorica del caravaggismo.

Sta di fatto che Madre Natura lo dotò di un talento semplicemente eccezionale ma, nello stesso tempo, di un “caratterino” non da poco molto incline alle risse, alle pessime compagnie e frequentazioni della peggiore suburra e soprattutto (storia dixit) come uno mai disposto a “farsi passare la mosca sotto il naso” tanto è vero che, per un nonnulla, era pronto a sfoderare subito la sua fedelissima arma bianca che non era uno stilettino qualsiasi ma bensì un signor pugnalaccio della peggior specie. Ergo una costante che lo accompagnò per tutta la, affatto lunga, vita in quanto morì, comunque in malo modo, a soli 39 anni, il 18 luglio 1610, andando sicuramente ad occupare un posto preminente fra i cosiddetti artisti maledetti, quelli che hanno vissuto immersi totalmente in un tremendo mix di genio e sregolatezza.

Lasciando ad altri più competenti tutte le considerazioni sia sulla sua innegabile ed innegata grande arte pittorica che sulle valenze psicologiche e psichiatriche del perché ed il percome fu un fior, a dir poco, di caratteraccio costantemente pronto a menar le mani di brutto (bastonatore ed accoltellatore seriale ma anche pronto a tirare i piatti in faccia agli osti, con ancora il cibo dentro, quando non erano di suo gradimento gli uni o gli altri od entrambi), tanto è vero che venne condannato a morte (all’epoca c’era la decollazione certa e non certo pene “alternative”) per omicidio (fra l’altro, dopo la condanna, chiunque poteva essere esecutore della stessa uccidendolo decapitandolo e consegnando la sua testa al fine di incassare la taglia da parte dello Stato Pontificio) e da lì iniziò la sua fremente fuga che lo portò, con alterne storie e vicissitudini, fino a Malta ed in Sicilia. In questa fuga frenetica Caravaggio cercò sempre di sfruttare la sua arte sopraffina per ingraziarsi il potente di turno, al fine di esserne temporaneamente protetto, visto che molti lo volevano “accoppare” vuoi per grandi ruggini e rancori personali, vuoi per mandato altrui. Ad una morte certissima,nel caso fosse stato catturato, Caravaggio oppose, come suddetto, la sua arma migliore che in questo caso non era l’amato pugnale, ma bensì i suoi preziosi dipinti, già molto apprezzati, vuoi fra le alte gerarchie nobiliari che fra quelle religiose, queste ultime per lui totalmente decisionali in fatto di vita e di morte considerando che regnava lo Stato Pontificio e lui, l’omicidio, per il quale era stato condannato ad avere la testa mozzata, l’aveva commesso proprio nel cuore di Roma in quel di Campo Marzio.

In questa fuga frenetica si evidenziò, chiaramente, quanti furono i falsi amici (tanti) del Merisi e quanti furono gli approfittatori (tanti) pronti solo a ghermirgli i suoi preziosi e rinomati dipinti. E qui già siamo verso la sua finis vitae con un più che notevole interrogativo legato alla sua immatura morte, che è: ma dove è morto realmente Caravaggio a Porto Ercole o a Palo? Guarda caso entrambi sul Tirreno entrambi sulla costa perché? Su questa ultima domanda la risposta certa l’abbiamo dalle fonti storiche che ci dicono che partì da Napoli a bordo di una feluca. Questo per la risposta alla seconda domanda, mentre per la prima domanda non c’è uniformità di risposte checché il comune di Porto Ercole (ora Comune di Monte Argentario in unicum con Porto Santo Stefano – ndr) attesti che il grande artista sia morto ivi. Sul fatto che il Caravaggio si sia spento a Porto Ercole più volte, già nel passato, c’erano stati vari dubbi, ma è stato il professor Vincenzo Pacelli dell’Università di Napoli, illustre studioso del Merisi, che nel 2012 (nel 2010 furono celebrati i 400 anni dalla scomparsa del Caravaggio – ndr) “ribaltò il tavolo” in maniera decisa e decisiva argomentando, prove alla mano, avvalendosi pure di tutta una precisa documentazione rilevata sia dall’Archivio di Stato e sopratutto dall’Archivio Vaticano (non dimentichiamoci che all’epoca del Merisi c’era lo Stato Pontificio ergo l’Archivio Vaticano fa testo in assoluto – ndr) che la morte di Caravaggio non avvenne a Porto Ercole e non fu per malattia (checché il rivoluzionario pittore lombardo avesse notevolissimi problemi di salute e recasse anche una ferita d’arma da taglio mal guarita, magari anche in parziale suppurazione causa pure i suddetti molto seri malanni da cui era affetto: malaria, addirittura con febbre terzana , e lue che aveva contratto frequentando normalmente le varie meretrici le quali, anche all’epoca non mancavano affatto) asserendo che il grande pittore morì a Palo e non per malattia perché fu ivi assassinato da emissari dei Cavalieri di Malta con il “tacito assenso della Curia Romana”.

La certezza storica è che fu fatto scendere, magari con l’inganno prima e con la forza poi (immaginiamo la sua scarsa resistenza stante le sue, più che precarie, condizioni fisiche), a Palo con la feluca che riprese il largo con a bordo ben suoi tre quadri (l’ultimo suo tentativo di “lasciapassare” verso la salvezza) e ivi fu imprigionato e poi? Un suo andare disperato fino a Porto Ercole (la feluca faceva cabotaggio fra Napoli e Porto Ercole che era della Spagna) per recuperare i suoi preziosi quadri a più di un centinaio di chilometri da Palo attraversando (lui, ripeto, molto ma molto malfermo in salute) una fascia costiera la quale, all’epoca, era ritenuta, tutta, una delle più paludose in assoluto d’Italia con alle spalle nell’entroterra una ampissima “scelta” di spietate bande di “briganti tagliagole” che coprivano tutti i territori con ognuna le sue specifiche zone “di lavoro”.

Insomma più di un dubbio sul suo andare via terra ed allora? Si dice pure che pervenne a Porto Ercole tramite una imbarcazione messagli a disposizione dagli Orsini, all’epoca proprietari del castello e del suo porto di Palo, ma anche qui più di un dubbio emerge: intanto è possibile che i nobilissimi Orsini (che ebbero ben tre papi e di cui il cardinale, poi anche generale, Flavio Orsini aveva già armato e migliorato la funzionalità di Torre Flavia, che, come è noto, è posta a nord sulla costa non lontano da Palo) sicuramente ben al corrente dell’input mortale dato dall’egemone Vaticano insieme agli, allora potentissimi, Cavalieri di Malta molto legati ad Esso, nei confronti dell’ormai scomodissimo Caravaggio, avrebbero, comunque, impegnato una loro imbarcazione pro Merisi? Insomma l’andata (e quindi ivi la relativa morte) del Caravaggio a Porto Ercole sembrerebbe proprio una “mission impossible” soprattutto in base a quanto ci ha consegnato il “Pacelli pensiero” nel suo, più che dettagliato, studio, il quale, ancora attende, una vera e propria, altrettanto documentata, controreplica storica la quale dimostri che quel grandissimo uomo di pennello (ma anche, purtroppo, di coltello) che fu Michelangelo Merisi detto il Caravaggio effettuò gli ultimi respiri della sua vita terrena a Porto Ercole e non in quel di Palo ove invece vi è certezza che fu sbarcato ed imprigionato e, forse, proprio lì ucciso con il corpo (magari smembrato) gettato in pasto ai pesci che erano sicurissimamente molti di più di ora (la pesca era una attività esercitata con mezzi e metodi molto semplici e non invasivi) richiamando a riva, con il loro agglomerarsi in frenesia alimentare, anche vari tipi di squali all’epoca sicuramente molto più presenti (per la loro conformazione selacei di 4 mt. possono stare pure in 30 cm. d’acqua ergo arrivare fino a riva) da vari chilometri di distanza considerata la loro eccezionale percezione (vds. le ampolle di Lorenzini, i canali vibratili laterali ed altre straordinarie loro specifiche sensoriali – ndr) fra cui i pericolosi smerigli e perché no anche, gli ancora più inquietanti carcarodonti (squali “bianchi” etc.) insieme ai più “tranquilli” squali volpe e i, quasi, innocui “gattucci” (che ancora oggi attaccano le loro uova agli steli delle gorgonie o delle posidonie nello spazio di mare compreso fra Torre Flavia e Campo di Mare) costantemente affamati per motivi funzionali ed in continuo peregrinare da sud a nord e viceversa dalle Secche del Quadro (Circeo) a quelle di Tor Paterno (Ostia), di Punta di Palo, di Torre Flavia e di Macchiatonda.

Certo siamo nel campo di una idea, ma per un corpo che deve assolutamente sparire del tutto dalla faccia della terra senza lasciare la benché minima traccia la tomba marina, in un mare che pullula di vita e che è lì fuori a portata di mano, è poi un’ipotesi così peregrina? E per il resto bruciare, ipso fatto, gli ultimi malconci abiti del Caravaggio, cancellando così del tutto le inquietanti risultanze del suo passaggio (e del suo, ben deciso, assassinio) ed avvalorando contestualmente la tesi di una sua rocambolesca ( ed improbabile) fuga verso nord è poi così tanto immaginifico? Certo si tratta di una ipotesi piuttosto brutale, anche se i tempi erano quelli che erano e non contemplavano certo, in questi casi, rose e fiori, ma ormai, forse, era stato radicalmente deciso che il grande rivoluzionario artista recante il nome di Michelangelo Merisi detto il Caravaggio doveva ormai essere ucciso a tutti i costi (magari in quel di Palo) e così fu, come affermato dal prof. Pacelli nella sua argomentatissima disamina che ancora attende, ripeto, una precisa ed altrettanto documentata controreplica. Ed è recentissimo il bel film “L’ombra dI Caravaggio” di Michele Placido attestante che Caravaggio fu ucciso e decapitato, il 18 Luglio 1610, al castello di Palo, nel territorio dell’odierna Ladispoli, ove era stato fatto sbarcare con la forza.

Arnaldo Gioacchini
Delegato alla Valorizzazione Storica e Archeologica di Ladispoli
Membro del Comitato Tecnico Scientifico dell’Associazione Beni Italiani Patrimonio Mondiale