Ancora una volta la Casa dei Tre Oci di Venezia, prestigiosa sede della omonima Fondazione e qualificata sede espositiva, si distingue per una imperdibile mostra fotografica. Mi piacerebbe davvero molto vederla e ve la consiglio. Chiuderà i battenti il 26 agosto, abbiamo tempo.
Si tratta del doveroso omaggio a Fulvio Roiter, grande firma italiana scomparsa nel 2016. La mostra antologica, ricca ed interessante, ripercorre la traccia artistica di uno dei fotografi italiani più influenti del novecento. Forse solo Roiter e Fontana sono riusciti ad incidere in modo così fulgido e moderno sul loro tempo e sulle generazioni successive; e non parlo solo di stile ma di scelte tecniche significative, talvolta in anticipo sulle mode.
Roiter era un veneto e la sua storia è indissolubilmente legata a Venezia, vissuta e indagata in modo così intimo da assurgere a tema-simbolo della sua attività culminata in quella strepitosa pubblicazione, intitolata Essere Venezia, passata alla storia per i suoi numeri eccezionali: edita nel lontano 1977 è stata tradotta in quattro lingue e stampata in più di un milione di copie.
Ma la sua storia è fatta di raffinati reportages, a cominciare dal primo, quello storico nella poverissima Sicilia dei primi anni ’50, attraversata con pochissimi mezzi e una famelica voglia di documentare. Questa esperienza d’esordio fu dura ma scolpì la pietra grezza dell’autore rivelandone il talento visivo e la profondità narrativa. Ne uscì con la piena consapevolezza artistica e professionale che lo accompagnò nei numerosi viaggi successivi, in Europa, in Africa, in Sud America dove, forse anche meglio di quanto fatto per Venezia, riuscì ad esprimere tutta la raffinatezza compositiva che lo reso celebre.
Un artista controcorrente dal punto di vista tecnico, quando tutti cominciavano ad esaltarsi per il colore lui diede rinnovata modernità al bianco e nero lavorando con il formato rettangolare, allora inusuale perchè il bianco e nero d’autore era legato al formato quadrato degli apparecchi più in voga tra i professionisti. Ma successivamente abbracciò con convinzione anche il colore, sfruttandone tutta la poetica espressività, soprattutto a Venezia.
Sfogliando una monografia che custodisco a casa proprio accanto a quella di Fontana, mi sono ritrovato nelle parole che gli ha dedicato Indro Montanelli, con la sua proverbiale lucidità, riconoscendo a Roiter una straordinaria capacità di cogliere, oltre le cose, il senso delle cose. Roiter, da questo punto di vista, citando un’altra felice intuizione stavolta a firma di Alberto Bevilacqua, era un vero rabdomante di poeticità visive. Vi invito a scoprirle e a farne tesoro.
A cura di Michele Galice