“Paesaggi d’arte”. Il surrealismo di Maia

Oggi voglio essere un po’ tranchant su un argomento che mi coinvolge particolarmente. In questa entusiasmante e “maledetta” epoca della fotografia digitale sto assistendo ad una esasperazione tecnica che sinceramente comincia ad annoiarmi e finirà per infastidirmi. Mi riferisco, in particolare, alle riprese di paesaggio: sono in molti i fotografi a misurarsi con tecniche di ultima generazione saturando i social di immagini mozzafiato prodotte in fotocopia, dominate da tracce stellari, da paesaggi notturni, da morbidissimi effetti mosso di acque e nuvole in grado di rendere sensazionali anche scenari di per sé già magici. A rendere il tutto ancora più esaltante dal punto di vista estetico il ricorso indiscriminato ad una post produzione digitale che si muove in modo forse troppo disinvolto tra cromatismi eccessivi e manipolazioni al limite del fotomontaggio. Tutto molto bello a vedersi, soprattutto sullo smartphone, ma quanto durerà?Credo onestamente che la fotografia del paesaggio si stia approssimando ai suoi limiti tecnici. Ora che si può riprendere (potremmo dire foto-comporre?) qualunque scenario senza limiti di tempo e di luci cosa potremmo mai inventarci in futuro di altrettanto rivoluzionario ma di ugualmente emozionante?

  

Questo è uno dei motivi per cui, anche in campo fotografico, il peso specifico delle idee sta rivendicando un ruolo sempre più centrale rispetto a tecniche che, per quanto complesse, si diffondono in modo esponenziale con l’effetto di generare uno spaventoso appiattimento qualitativo. Altro che la lenta maturazione pluridecennale dell’epoca analogica! Ecco perché sempre più spesso mi entusiasmo con artisti visionari veramente interessanti che non rinnegano affatto l’intervento digitale ma vi ricorrono, senza snobismi da puristi, per valorizzare un’intuizione creativa piuttosto che inseguire la spettacolarità fine a sé stessa. E’il caso di Maia Flore, giovanissima artista francese classe ’88. Artisticamente parlando, è una neo-surrealista che certo non nasconde i suoi riferimenti; sono evidenti i rimandi a Magritte e ho amato da subito l’essenzialità dei suoi paradossi visivi così come trovo divertenti alcuni allestimenti giocosi che ricordano gli sperimentalismi di Francesca Woodman, devota, a sua volta, al grande Duan Michals.

Maia ha personalità da vendere e ricevendo premi prestigiosi è riuscita a calamitare l’attenzione delle grandi maisons della moda che si sono affidate al suo talento per lanciare alcuni progetti mediatici dal carattere innovativo. Stavolta non voglio indicarvi una galleria in particolare del suo sito internet, sono tante e forse è meglio aggirarsi d’istinto in quel groviglio allettante assecondando la vostra curiosità. Ne vale la pena.

http://www.maiaflore.com/

Maia mi piace per questo suo incedere da funambola tra realtà e immaginazione, poesia e sogno, profondità e ironia, fotografia e pittura. Apprezzo, soprattutto, la lucida consapevolezza con la quale gestisce il ricorso alla manipolazione digitale, misurata, delicata e sempre funzionale al concept del progetto artistico. Ma non è regola; spesso non ha bisogno di ritocchi, per quanto minimali, e libera tutta la sua potenza visiva con la semplice messa in scena, geniale ed elegante. L’equilibrio, la misura e l’originalità sono arti molto difficili. Certi virtuosismi tecnico-estetici che fino a poco fa ci lasciavano a bocca aperta, sono roba già vecchia.

 

A cura di Michele Galice