“Paesaggi d’Arte”. Gli spettri di Devaux

Quando mi avvicino per la prima volta ad artisti che spingono sull’acceleratore degli effetti pittorici toccando le corde dell’inquietudine mi entusiasmo facilmente perché sono aspetti a cui sono molto sensibile. E’ successo anche con Thomas Devaux: questo giovane e pluripremiato fotografo francese è già molto apprezzato grazie ad alcune mostre personali esposte con grande successo a Hong Kong ed a Mosca.
Sarebbe riduttivo o forse soltanto impreciso definirlo un fotografo, perché all’interno del suo processo creativo l’arte fotografica vera e propria trova la sua piena applicazione solo in due momenti chiave, lo scatto iniziale e la stampa finale. Mi interessa, in questo caso specifico, quello che c’è nel mezzo, l’arte vera di Devaux, ricca di sensibilità pittorica e di personalità nell’elaborare immagini che poi vengono proposte al pubblico nella confezione del grande formato, proprio per recuperare l’impatto emozionale di una vecchia tela d’autore.
Il suo lavoro più significativo, quello che indubbiamente gli ha portato fama e visibilità, si intitola ATTRITI, articolato in due serie, un compendio di stampe dalle atmosfere piuttosto cupe e dai molteplici rimandi sia dal punto di vista stilistico che simbolico. Devaux si muove con misurata spregiudicatezza tra sacro e profano selezionando temi e personaggi dall’iconografia sacra che vengono rimossi dalla loro naturale collocazione per essere riproposti in una nuova, evanescente quanto ambigua rappresentazione.

 

 

 

Dettaglio della “Pietà”

Le figure, una volta rielaborate, subiscono una profanazione estetica resa ancora più spiazzante da una sottilissima ma indubbia tensione sessuale. Devaux ricrea delle icone dalla materialità tutt’altro che limpida e mette in atto questo processo ricostruttivo attraverso il dissolvimento della forma originale: elimina i contorni, sfuma le superfici, ma soprattutto compenetra corpi e vesti da cui trapelano altre presenze celate sull’orlo di manifestarsi. Le sue delicate figure femminili, pittoresche e celestiali, con tanto di aureole dalla finissima tessitura, vengono sconvolte da angoscianti dinamiche di baconiana memoria per acquisire, infine, una spettralità fascinosamente languida, vero filo conduttore estetico di tutta la serie.

I rimandi pittorici sono molteplici, alcuni sfacciati altri molto più sottili e Delvaux li gestisce certamente con grande divertimento: oltre alle evidenti citazioni di temi pre-raffaeliti, l’autore strizza l’occhio a Modigliani e Francis Bacon ma nello scorrere i suoi lavori trovo gli echi di certe tenebrosità tipiche della ritrattistica ottocentesca, come nel caso del grande Böcklin.
Ma Devaux, come un equilibrista, arricchisce il suo apparato di tante impercettibili contrapposizioni simboliche che conferiscono al progetto una complessità che allontana qualunque sospetto di banalità. Un lavoro certamente dissacrante ma gestito con sapiente eleganza.
http://www.thomasdevaux.com/

 

A cura di Michele Galice