CIVITAVECCHIA – Erano eretici, deviavano dal pensiero comune, e per questo più di una volta sono finiti sul rogo; erano corsari, obbedivano alle uniche autorità che riconoscevano: la loro intelligenza, la loro coscienza. Erano diversi per personalità, modi di espressione, scelte e destini; erano Giorgio Gaber, Sandro Luporini e Pierpaolo Pasolini. A restituirne le parole – con il rispetto di chi si fa portavoce, testimone, non certo imitatore – sono Neri Marcorè e Claudio Gioè. “Eretici e Corsari” – visto ieri sera al Traiano all’interno del cartellone riservato alle nuove creatività – è un concerto politico, una riflessione in musica, è un viaggio nelle poetiche e nel pensiero di questi poeti sui generis, di questi profeti ‘discoli’ e disubbidienti. L’intellettuale ‘scomodo’ par excellence, il canta-storie impegnato, l’artista poliedrico; il poeta lucido e profetico capace di riconoscere nella società che si stava affacciando la tremenda decadenza di cui oggi stiamo scontando le conseguenze, e i due che quella società la dissacravano, la rovesciavano con ironia e profonda saggezza. Marcorè e Gioè si alternano sul palcoscenico ripercorrendone le parole, i versi, le note: Gioè si sofferma in particolare sugli ultimi anni di Pasolini, su quelle dichiarazioni brucianti e sofferte che riconoscevano nella pur amata Italia un paese prossimo alla distruzione morale, politica e sociale, mentre Marcorè, il volto sardonico e la voce calma, ci canta un Gaber inedito, molto piacevole in questa nuova veste. Lo spettacolo – diretto da un veterano di questi esperimenti drammaturgici come Giorgio Gallione – è ben calibrato, montato perfettamente perché le parole dei due protagonisti si fondano in un’armonia unica. Talvolta una voce fa da contrappunto all’altra, talvolta viaggiano all’unisono, altre volte ancora una deve farsi da parte, per lasciare all’altra tutto lo spazio, affinché si stagli nitida sulla scena, diretta alle nostre coscienze. E’ un viaggio piacevole e impegnato, ‘catartico’ forse per buona parte del pubblico che riconosce nelle parole profetiche di Pasolini una denuncia oggi più che mai necessaria, mentre nelle canzoni di Gaber e Luporini ritrova se stesso, le sue speranze, le sue illusioni. Figure di spicco nel panorama italiano di secondo Novecento, citati e ultra-citati, sottoposti ad appropriazioni talvolta indebite, questi artisti possono considerarsi delle vere e proprie icone di un certo tipo di intellettuale che si oppone e contrasta il potere costituito. Lo spettacolo di Gallione cerca di evitare i falsi compiacimenti, la morale facile, ponendosi piuttosto come un corso accellerato di “educazione al libero pensiero”: quasi sempre centra l’obiettivo; e quando il risultato è raggiunto, si torna a casa soddisfatti, magari più consapevoli di uno dei principali poteri del teatro: arrivare dritto all’oggi, senza metafore, senza accomodamenti.
Francesca Montanino