CIVITAVECCHIA – Tre affollatissime recite hanno decretato l’apertura ufficiale della nuova stagione del Teatro Traiano. Si è trattato in realtà di un preludio, dell’esaudirsi di una promessa fatta agli abbonati dell’anno scorso. Un ringraziamento per la fedeltà dimostrata nonostante la programmazione un po’ ‘ballerina’ della scorsa stagione, che ha visto saltare alcuni spettacoli e posticipare altri, a volte così tanto da finire in cima al nuovo cartellone. È questo il caso de “Il Miracolo di Don Ciccillo”, commedia scritta e diretta da Carlo Buccirosso che ne è anche interprete- capocomico. Introducendo la nuova stagione, la commedia di Buccirosso inaugura anche uno dei filoni principali del cartellone 2011/2012: quello della tradizione partenopea. Lo seguirà a ruota Massimo Ranieri (in programmazione il prossimo 31 ottobre e 1 novembre), e poi Vincenzo Salemme, per non parlare del “Napoletango” firmato Giancarlo Sepe al centro delle “nuove creatività”. La tradizione napoletana con le sue musiche, la sua ritmica inconfondibile, la sua comicità intramontabile attraverserà tutta questa annata teatrale. Nella commedia di Buccirosso – che dalla tradizione napoletana eredita anzitutto la commistione dei generi (un po’ farsa, un po’ melodramma, un po’ tragedia) – echi di Eduardo e Scarpetta si mischiano ad un gusto tutto televisivo per le gag da sit-com. E se si parte con le migliori intenzioni, spesso si precipita su una buccia di banana. La sequenza iniziale ritrae la famiglia Pisapia tutta stretta attorno al capezzale di Don Antonio: è una scena che ricorda per molti versi l’ultimo atto dell’‘eduardiano’ “Natale in Casa Cupiello”. Come Luca Cupiello, anche Antonio Pisapia sta morendo di un male ‘alla capa’: un esaurimento nervoso dovuto a quell’”associazione a delinquere di stampo camorristico”- così suole chiamarla – che è Equitalia. Pisapia è sommerso dalle cartelle esattoriali: ma il colmo per lui è che l’odiata suocera, funzionaria della stessa azienda che lo sta mandando sul lastrico, non lo aiuti in nessun modo. Ad aggravare la situazione ci si mette il sospetto di una relazione tra la moglie e il fratello, avvocato un po’ ‘prezzemolino’. Da questa serie di situazioni piuttosto classiche scaturisce la farsa: Pisapia, ormai in preda ai fumi della follia, metterà a soqquadro il suo stesso menage familiare tentando ripetutamente l’’accoppamento’ della suocera, della coppia fedifraga e addirittura minacciando l’intera casa con una pistola giocattolo. La presenza di un medico curante sosia del prete di famiglia ( quel Don Ciccillo a cui si attribuisce il miracolo del titolo) di una infermiera – angelo custode, e di un postino nano completano il quadro di questa commedia dei paradossi che, seppur nelle intenzioni sembra voler denunciare dietro l’ironia il malessere e la solitudine del protagonista, troppo spesso finisce in pochade. La commedia funziona: il pubblico ride di fronte al parossismo di molte situazioni così come di fronte alla follia un po’ isterica del bravo Buccirosso (supportato da un cast di attori un po’ sopra le righe e decisamente stereotipati). Ma quando la farsa vuole lasciar spazio alla riflessione, a quel groppo in gola che l’arte napoletana è in grado di lasciare così bene, proprio lì questo “Don Ciccillo” precipita, e si rivela debole. Come nel canto finale, dichiarazione di rinnovato amore della moglie al marito, malato forse di mancanza d’affetto: un canto che vorrebbe essere liberatorio, rinfrancante e commovente, ma che risulta forzato, conseguenza “appiccicata” di una commedia che ha il suo merito principale in una leggerezza senza metafore.
Francesca Montanino