CIVITAVECCHIA – Quante probabilità ci sono che due aspiranti suicidi si ritrovino nello stesso luogo e nello stesso momento con la medesima intenzione di farla finita? E’ un’idea improbabile, profondamente grottesca e cinica, che già Nick Hornby aveva esplorato nel suo bel romanzo “Non buttiamoci giù”. In quel caso erano quattro gli sconosciuti che, la notte di San Silvestro, si ritrovavano in cima a un palazzo di Londra con l’idea di compiere il gesto estremo, ma poi, partecipi l’uno della tragedia dell’altro, optavano per un altro tentativo con la vita. Un tentativo a scadenza: si sarebbero rincontrati dopo due mesi per fare ‘il punto’ sul loro reciproco desiderio di chiuderla con questo mondo. Viene facile riconoscere in “Niente progetti per il futuro”, commedia presentata ieri sera al Traiano, più di un’eco del romanzo di Hornby non solo per i richiami espliciti alla trama, ma per quell’umorismo nero, quel cinismo senza sconti che anima tanto la penna dello scrittore inglese quanto quella del giovane attore, regista e drammaturgo Francesco Brandi. In “Niente progetti per il futuro” (per cui Brandi si è aggiudicato il premio Flaiano) a ‘sovraffollarsi’ di intenti suicidi è un ponte di una non specificata periferia urbana. Lì si ritrovano Tobia (Enzo Iacchetti) un noto personaggio televisivo vittima degli scherzetti di uno show business che lo ha silurato per una lite finita male. Neanche il tentativo di sposare la showgirl di turno (con cui peraltro è fidanzato da anni) e tornare così in auge, lo risolleva dalla depressione e dalla consapevolezza della sua sconfinata solitudine. Non rimarrebbe che farla finita se non fosse che ad interrompere i suoi propositi arriva Ivan (Giobbe Covatta) garagista napoletano chiassoso, dall’umorismo involontario e paradossale; anche Ivan si vuole buttare giù dal ponte: la moglie lo ha tradito, se ne è andata di casa e lui non ha nemmeno più i soldi per pagare l’affitto. E’ difficile trovare la concentrazione necessaria all’atto estremo quando un altro accanto a te è in attesa del suo ‘turno’: tra i due inizia così un grottesco gioco al massacro, che li porta a prolungare all’infinito quel momento tragico e solenne. L’ego caustico di Tobia è continuamente disarmato dall’ironia disarmante di Ivan, splendido ingenuo, ultimo dei puri. Nonostante il contrasto drammaturgico tra il cinico e il tontolone, il misantropo e il compagnone sia una costante della commedia all’italiana, niente nella commedia di Brandi sfocia nel facile sentimentalismo: al contrario, come un meccanismo ad orologeria, la commedia procede senza sconti. E quanto ci si intravede uno spiraglio di condivisione, un momento di commozione, ecco che l’arma del cinismo si scaglia implacabile, con il suo umorismo tagliente e irresistibile. Iacchetti e Covatta, pur con qualche difficoltà dovuta forse al mancato rodaggio dello spettacolo (che si avvertiva nell’aiuto un po’troppo costante del suggeritore così come in qualche strafalcione gestito però con grande maestria), si dimostrano una coppia affiatata: entrambi abilissimi ‘animali da palcoscenico’, giocano la loro partita con la complicità del pubblico guadagnata fin dalle prime battute. E alla fine non si può che stare al gioco, ridere dei nostri vizi, delle nostre fobie e della nostra solitudine. Perché anche dove aleggia la tragedia, è sempre meglio una risata: purché senza sconti.
Francesca Montanino