“Non era questa l’Italia che immaginavamo, guai dimenticare”

Ennio Piroli

CIVITAVECCHIA – E’ un pezzo di memoria storica cittadina, testimone di quella eroica pagina della Resistenza che ha segnato anche la storia di Civitavecchia. Ennio Piroli, ex sindaco negli anni ’70, ma soprattutto ex partigiano, ha combattuto nella leggendaria Brigata Maroncelli che, rifugiatasi sui Monti della Tolfa, diede battaglia tra il 1943 e il 1944 alle truppe nazifasciste che occupavano il Lazio oltre la linea Gustav. Anni in cui la militanza antifascista di Ennio e della sua famiglia giunse al culmine, a rischio della propria vita come ci racconta lo stesso Piroli in questa intervista rilasciata al nostro giornale.

“Già mio padre, ferroviere, non accettando di prendere la tessera del Partito nazionale fascista fu trasferito a Balvano, vicino Potenza, dove ho continuato gli studi molto piccolo; mio padre laggiù si fece subito benvolere: creò il Dopolavoro, diede importanza a quelle cose come il senso della comunità, grazie alle quali la nostra famiglia si integrò perfettamente. Eppure non rinunciava a voler tornare vicino casa, a Roma; non riusciva a concepire l’ingiustizia che gli era stata fatta soltanto per non aver voluto aderire al fascismo. Scriveva spessissimo a Mussolini e alla direzione delle FFSS; dunque da Balvano noi eravamo soliti ogni estate fare ritorno ad Allumiere dai parenti, dove mio nonno ancora viveva. Alla fine di una di quelle estati, esattamente l’8 Settembre, ci trovammo proprio ad Allumiere quando l’armistizio fu firmato; mio padre riuscì a non tornare a Balvano grazie ad una lettera del maresciallo locale dei Carabinieri che testimoniò lo stato critico e di difficoltà che si viveva e che avrebbe reso impossibile ritornare al sud. Quando ci fu la chiamata alle armi da parte della repubblica di Salò tutta la generazione del ’25 ad Allumiere si diede alla macchia, coordinata da Ezio Maroncelli, incarcerato per antifascismo militante. Tra Civitavecchia ed Allumiere si era creata una situazione favorevole per la creazione di un gruppo di resistenza: una folta colonia antifascista preesistente, con una tradizione al riguardo fecero il resto: nacque così la brigata Maroncelli. Facevamo azioni a modo dei Gap (gruppi d’azione patriottica, ndr), mai più di quattro, non meno di tre, colpire e poi fuggire. In seguito ai fatti del 7 Aprile mio padre venne portato via, in via Tasso, a Roma, subendo quello che si può immaginare, successivamente e avventurosamente riuscì a ricongiungersi a mia madre e dopo alla brigata”.

Quanta forza serviva per imbracciare le armi e resistere?
“Eravamo soprattutto giovani e stanchi delle conseguenze del fascismo e della guerra, e poi c’era un forte spirito patriottico alimentato dall’occupazione tedesca, anche se molti di noi avrebbero poi militato in politica all’epoca il fattore non fu determinante, ci fu il più totale trasversalismo nell’aderire alla Resistenza e non solo all’interno della brigata Maroncelli o delle altre brigate. Anche tra i partigiani e la popolazione civile c’era un mutuo rispetto e un concreto aiuto: il silenzio coraggioso di cittadini, pur minacciati, ha salvato tante vite partigiane; questo voglio dire: che la Resistenza fu questione di popolo, fu fatta da tutti per tutti. Non solo, finita la Resistenza anche un certo sentimento di rivalsa che covavamo nel cuore verso i nostri persecutori svanì immediatamente: abbiamo ritrovato i tre ‘gerarchetti’ che avevano compilato le liste per i rastrellamenti tristemente noti avvenuti ad Allumiere, li abbiamo consegnati agli americani, non gli fu torto un capello”.

Ed oggi?

“Molti dei compagni con cui ho condiviso la Resistenza ed attraverso la militanza politica ho cercato di serbarne il significato non ci sono più. Oggi tuttavia non si sta affievolendo solo il ricordo, va scomparendo anche quel sentimento che ci animò, non lo riscontro nei giovani e questo è quello che più mi fa male. Il sentimento della Resistenza è sempre più visto come un reperto storico che per di più va sbiadendosi, si è innescato un diffuso sentimento di menefreghismo e disinteresse. Il consumismo non più solo come modello economico, ma anche come ambito culturale ha svuotato, piallato ogni scala valoriale; a guardami indietro, non si può essere certo contenti di dove siamo arrivati, considerando dove eravamo partiti e dove avremmo voluto arrivare. Forse proprio per questo però vale la pena ancora di più di ricordare, raccontare e tentare di rianimare quei sentimenti nobili che animarono i giovani e tutti quei cittadini buoni per liberare il paese ed immaginarlo migliore”.

 

Simone Pazzaglia